Valditara vuole più italiani nelle scuole? Mancano gli italiani nelle culle – Chissà se Giuseppe Valditara ha dei figli. Probabilmente li avrà, ma certamente anche già grandi per età.
Altrimenti, se alternasse ancora il lavoro al Ministero con la briga di portare la prole a scuola ogni mattina, ricorderebbe come i bambini e i ragazzini – negli istituti per l’infanzia, per l’istruzione primaria, per le elementari e in parte anche per le medie inferiori – vanno a lezione nelle sedi territorialmente competenti ad accoglierli.
Ovviamente, si parla della scuola pubblica.
Valditara ha ragione
Ciò premesso, solo i più accaniti e sinistri osservatori del mondo della Pubblica istruzione possono non essere d’accordo col titolare del dicastero, quando afferma che, per migliorare i processi di inclusione dei giovani e giovanissimi immigrati, questi dovrebbero essere inseriti nelle varie classi in numero inferiore a quello dei coetanei italiani a tutto tondo.
Però, se oggi i bambini che nascono sono figli di immigrati per una media del 40%, tenendo conto di quanto detto all’inizio, si parla di niente.
Anche perché gli immigrati di concentrano maggiormente nelle città capoluogo e, all’interno di queste, nei quartieri più popolosi in senso assoluto, ma anche meno abbienti, dove anche gli italiani che vi vivono non se la passano benissimo.
Per tanto, come infatti già accade in alcune realtà di città come Bologna, Modena e di altre regioni, sia del Nord che del Centro Italia, capita che i bimbi e i ragazzini stranieri o figli di stranieri – i quali spesso non parlano italiano se non fuori di casa o dall’enclave sociale in cui vivono – siano la netta, quando non la stragrande maggioranza degli scolari e degli studenti.
Come pensa di riequilibrare in questo caso la situazione, il ministro dell’Istruzione?
Quale soluzione?
“Deportando” da un quartiere all’altro i figli con entrambi i genitori italiani?
Da questo governo ci si potrebbe aspettare anche questo, ma è difficile immaginare che le eventuali famiglie coinvolte reagirebbero bene.
Semmai, Valditara, potrebbe valutare altre opzioni, a partire da quella di sponsorizzare presso i suoi colleghi reali politiche che permettano anche agli italiani che la ricchezza non sanno neanche cosa sia di avere una casa sopra la testa e una prospettiva che li invogli a riprodursi.
Se ci fossero più bimbi e ragazzi italiani, infatti, il problema sarebbe risolto alla radice.
Non potendo, però, pretendere tanto da un ministro di un gabinetto che ha appena speso 20 miliardi di euro – 40 mila miliardi delle vecchie lire – non per le bimbe e i bimbi, ma per le bombe e la “bamba” (noto sinonimo con cui si indica la polverina di cui sembra apprezzare gli effetti una potente persona di Kiev), bisognerà pensare ad altre alternative.
Prima tra le quali, assicurare ai bimbi italiani la possibilità di fare un percorso formativo e scolastico ordinario e che non risenta dei “rallentamenti” necessari nello sviluppo dei programmi nelle sezioni in cui predomina la presenza di immigrati.
Percorsi diversi
Non è razzismo separare i percorsi tra chi, specialmente per l’abitudine alla lingua, può marciare più speditamente da coloro che hanno prima bisogno di mettersi al pari degli altri.
Specialmente nei casi in cui i bimbi e i ragazzi stranieri entrano a scuola in età già avanzata.
È razzismo, semmai, pretendere che camminino al passo degli altri ed è razzismo al contrario abbassare i livelli d’istruzione per far sì che tutti li possano superare, non insegnando, di fatto, niente a nessuno.
Senza contare che, coi bimbi nati in Italia da genitori stranieri, il problema è certamente meno grave, a volte anche inesistente, a seconda delle tradizioni e dalle abitudini delle etnie di riferimento.
Però, resta il problema dell’inserimento, a seconda delle età, di quelli che giungono in Italia già cresciutelli e che, per anagrafe, devono essere collocati in classe dove è a dir poco facili che si sentano estraniati.
Così come resta il problema, che è quello fondamentale, che per avere più italiani in ogni classe, prima bisogna avere più italiani nelle culle.
E non è un problema burocratico di come e di dove si iscrivono e a quali scuole: è un problema di stipendi, di contratti a tempo indeterminato, di case a equo canone e di mutui che non siano firmati da Shylok o strozzini suoi pari, di reali politiche di aiuto per le donne che scelgono la maternità e via dicendo.
Massimiliano Mazzanti
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