Ho letto con interesse la discussione sul Salva Milano avvenuta su questo giornale e mi trovo d’accordo con la conclusione: questo provvedimento è ridicolo. È ridicolo perché non salva Milano, che non ha bisogno di essere salvata, ma salva la sinistra dall’imbarazzo di una inchiesta con un gigantesco buco. Un buco a forma di giunta. E avvalora, con la finzione tragica e assurda dell’”interpretazione autentica”, il rito ambrosiano. Ovvero un atteggiamento da Marchese del Grillo di fronte a norme sbagliate. Insomma, si prendono antidolorifici per non operare.
Fatemi fare un passo indietro. Avete presente il paradosso della nave di Teseo? Teseo, eroe greco, ebbe la sua nave conservata nel porto come monumento nazionale. Però il tempo e le intemperie la rovinarono un pezzo alla volta. Così prima venne cambiato un asse, poi l’albero. Alla fine, la nave era una copia.
Ecco: quand’è che la nave di Teseo smette di essere la nave di Teseo e diviene una copia?
Il paradosso di Milano
Il problema si è posto anche a Milano: quand’è che una ristrutturazione smette di essere tale? Il Comune ha deciso che se c’era qualcosa, qualsiasi cosa, lo si poteva ristrutturare trasformandolo in qualsiasi altra. Case di ringhiera diventavano torri (vedasi via Crescenzago). Il Salva Milano dice che, effettivamente, quello la legge voleva dire.
Ed è una menzogna. Peggio, vista la natura sacrale del Diritto, è un sacrilegio. Ma perché si usava la Scia allora? Perché con il permesso di costruire andava fatto un piano esecutivo, dando alla cittadinanza, al Comune, agli alieni e a chiunque passasse il diritto di intervenire. Sollevando obiezioni ambientali (da cui la proliferazione di parchi giochi inutili e pieni di degrado), sociali (le prime a cadere) e una richiesta di pizzo (oneri di urbanizzazione) che normalmente veniva spesa in parchetti, piazze tattiche, piste ciclabili e altra roba altrettanto inutili. Facendo lievitare il costo delle case senza dare servizi (tanto prima o poi un supermercato apriva comunque).
I sacerdoti urbanisti
Gli Urbanisti, che queste norme le hanno volute, ora sono sconvolti. Rischiano la disoccupazione. Essendo gli unici, più o meno, a sapercisi raccapezzare, erano quelli che dovevano mediare tra le parti. Per questo sono contrari: sono sacerdoti che stanno per perdere la propria Bibbia. Il Salva Milano va bloccato, dicevamo, perché non è vero che il diritto era confuso. Era chiarissimo. Ed era sbagliato. Perché la città, un tempo (non mille anni fa, basta tornare indietro di un secolo) era una entità organica. Ovvero organizzata con uno scopo a cui le parti cooperavano. Quando si è deciso di slegare le parti, non si è mai chiuso il processo. Per cui una appendice inutile, cioè il Comune, poteva lucrare sui processi, avendo facoltà di autorizzarli o vietarli.
Popolo sovrano?
Questo ha lasciato aperta la porta e fatto entrare un vapore mefitico e “green” che ha contaminato l’aria. Rendendo di nuovo ideologica la gestione della città. Ma non più organica. Dieci lustri di palazzinari lo avevano reso impossibile. E ora ci troviamo in mezzo al guado. Potremmo tornare indietro, togliendo le ideologie che hanno rovinato la città o proseguire e renderle dominanti. Il Salva Milano ci lascia nel fiume. Gli urbanisti ci vogliono sulla riva sbagliata. Nessuno pensa che per andare avanti si possa pure tornare indietro.
Di sicuro, il manifesto contrario alla riforma, scritto dagli Urbanisti che si oppongono al testo scritta dai Comuni ci comunica una grande verità: i senatori devono scegliere solo il padrone della legge. E l’opzione che sia il popolo non è minimamente contemplata. Un motivo in più per non votarla del tutto e scriverne una nuova. Con una idea di Paese e di Città sana e organica ben presente.
Brian Curto
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