Un’altra Riforma in peggio – Oggi, 28 febbraio, entra in vigore l’ennesima riforma ai codici di rito, denominata “Cartabia” poiché concepita dal ministro della Giustizia del passato governo.
Progettata per semplificare le procedure ed eliminare l’arretrato – e sollecitata anche dalla UE – soprattutto nel campo civile, è oggetto di pesanti critiche dai settori interessati.
Si tratta, quanto al processo civile, della decima modifica nel corso degli ultimi quindici anni, senza che le precedenti abbiano portato benefici in termini di accelerazione dei giudizi.
Il problema, sottolineano quattro importanti associazioni – Associazione nazionale giovani avvocati, Associazione nazionale forense, Associazione nazionale magistrati e Unione delle camere civili – è strutturale, organizzativo; l’inadeguatezza dei sistemi telematici, la carenza di organico e del personale amministrativo e la sua irrazionale distribuzione nel territorio.
Speditezza sì, ma senza complicazioni
La prof. Cartabia sarà senz’altro un’eccellente costituzionalista, un’insigne docente ma, da come ha concepito il nuovo nuovo rito civile, si capisce che di procedimenti civili ne ha sperimentati, personalmente, pochi.
Mentre a entrarci e lavorarci – il rito civile è a iniziativa di parte e gli interessi, nella stragrande maggioranza dei casi sono di natura privatistica – sono gli avvocati per conto dei loro clienti. E nessuno meglio di loro può interpretare le relative esigenze; se possibile, anche più dei magistrati che si occupano di questo ramo giurisdizionale e il cui intervento, a differenza del processo penale, è legato alle richieste delle parti.
Il fatto è che col pretesto della speditezza si sono introdotte norme cervellotiche che complicheranno la vita a tutti, dagli avvocati fino ai cancellieri e ai giudici
Ma i problemi stanno a monte
Inutile indugiare su questioni meramente tecniche.
Il vero problema è la mancanza di una visione su come deve funzionare la giustizia; ciò che infatti porta a continue modifiche, correzioni, riforme queste sì debilitanti poiché – a parte l’impazzimento della classe forense – costringono il personale amministrativo a ripetuti corsi di aggiornamento e a rivedere continuamente prassi e funzionamento dei propri uffici.
Non c’è peraltro di che meravigliarsi. Non esiste una strategia nel settore della giustizia allo stesso modo in cui è assente, in questa benedetta nazione, ogni orizzonte in tema produttivo, agricolo, politico, monetario, demografico.
Il male del paese è l’approssimazione
Tutto è affidato – al netto delle imposizioni di Nato e UE – a decisioni estemporanee o, nel caso di cui stiamo scrivendo, oltre alle sollecitazioni dell’Unione – in sé non scandalose poiché volte alla richiesta di una maggiore efficienza – alle scelte di chi, trovatasi ministro della Giustizia per qualche mese, agita il caleidoscopio della procedura per trovare la combinazione di colori che più le sconfinfera.
Viene da pensare che l’ambizione di veder legato il proprio nome a una riforma, qual essa sia, finisca per incoraggiare qualsiasi avventurismo legislativo.
E, quel che è peggio, accettato e ratificato dall’attuale governo che sta dimostrando, giorno dopo giorno, di non possedere né capo né coda.
La qual cosa, a pensarci bene, ne garantirà la sopravvivenza.