Un orologio ingrandito smentisce i giudici: Bellini non era in stazione
Due rilevanti novità sull’infinita storia giudiziaria della Strage di Bologna.
La prima, dall’Archivio di Stato di Roma, è il ritrovamento degli appunti di Lelio Lagorio stilati nel corso della riunione del 5 agosto 1980 del Ciis e del Cesis, de secretati in base alla normativa emanata da Matteo Renzi.
Da quelle carte, emerge come la scelta di indicare in quella fascista la pista da far seguire ai magistrati sarebbe stata il frutto di un’arbitraria scelta politica, fomentata in particolare dal comandante generale dell’Arma dei Carabinieri, Umberto Cappuzzo, mentre si avevano già fondati sospetti sul collegamento tra Ustica e Bologna e il coinvolgimento di soggetti terroristici esteri.
Misteriose morti
A sostenere questa tesi – in contro tendenza rispetto agli altri partecipanti al vertice presieduto da Francesco Cossiga -, Antonio Bisaglia, il ministro democristiano “affogato” misteriosamente al largo della Liguria nel 1984.
E – coincidenza ben singolare – morirono “affogati” anche suo fratello, don Mario Bisaglia (1992) e il suo segretario particolare Gino Mazzolaio (1993).
Data la natura informale del documento di Lagorio e le caratteristiche “fisiche” di quegli appunti – che appaiono come cartelle scritte in modo molto fitto – si attende una loro trascrizione completa, per comprenderne esattamente la portata, anche ai fini dei prossimi appuntamenti in tribunale (appello di Paolo Bellini e cassazione di Gilberto Cavallini).
La foto novità
La seconda novità, invece, ha direttamente dignità processuale, facendo parte del documento di appello della difesa di Bellini. Infatti, il gruppo legale presieduto dall’avvocato Antonio Capitella ha depositato una perizia fotografica, in cui si vede chiaramente come la donna fotografata alle spalle del presunto Bellini nel fotogramma che è costato l’ergastolo all’imputato – quello definito la “prova regina” dai magistrati del processo di primo grado – indossa al polso un orologio che indica chiaramente come quello scatto sia stato fatto alle 13.15.
Un orario, questo, che rende incompatibile la presenza di Bellini in stazione col tutto il resto della testimonianza della ex-moglie del pregiudicato e anche con le altre evidenze oggettive circa gli spostamenti di Bellini il 2 agosto 1980.
Magistrati sugli specchi?
Ovviamente, è presumibile che Procura e parti civili inventeranno qualsiasi ipotesi alternativa, per giustificare l’incongruenza oraria, a partire da quella, secondo la quale è impossibile sapere oggi se quell’orologio da polso funzionasse bene o no.
Ma si tratterebbe in ogni caso di arrampicate sugli specchi, visto che, in realtà, in tribunale, nessuna prova certa sulla presenza di Bellini alla stazione al momento dell’esplosione era stata deposita dall’accusa, durante il processo; ma, appunto, solo quella foto, in cui l’uomo ritratto assomiglierebbe a Bellini.
A inchiodare Bellini, infatti, è la testimonianza della moglie che, con un tardivo e ben poco credibile “riconoscimento”, ha fatto acquisire a quel fotogramma un valore che le perizie scientifiche si erano rifiutate di assegnargli. Ora, l’ingrandimento di quell’orologio al polso della donna alle spalle di Bellini, frantuma ogni residua credibilità della moglie di Bellini: se l’uomo nella foto è alla stazione di Bologna alle 13.15 del 2 agosto 1980 – sabato di esodo, con tutte le autostrade intasate – non avrebbe mai potuto arrivare in auto alle 14 a Rimini. Con buona pace di chi pretende di costruire le verità storiche sulle assurdità materiali.
Massimiliano Mazzanti
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