Ugo Venturini e Carlo Falvella i primi caduti degli anni di piombo – La prima vittima missina degli anni di piombo fu Ugo Venturini.
Tutto si consumò il 18 aprile 1970, in Piazza Verdi, a Genova, durante un comizio di Giorgio Almirante, leader del Msi.
Un comizio che divenne tragedia per via di un gruppo di manifestanti dell’estrema sinistra che, volendo impedire il discorso del segretario del Msi, iniziò un fitto lancio di sassi e bottiglie. Una violenza rossa che non risparmiò un operaio edile di soli 32 anni: Ugo Venturini.
L’agonia del militante missino durò fino al 1° maggio concludendosi con la sua morte che, amara ironia della sorte, cadde nel giorno della Festa del Lavoro.
Una storia che lascia l’amaro in bocca per l’odio politico che semina morte, il figlioletto Walter rimasto orfano di padre e i colpevoli mai trovati.
Nessuno ha pagato
A tal proposito da ricordare la dichiarazione di Carlo Panella, giornalista ed ex dirigente di Lotta Continua: “Sì, forse l’ho tirata io”, con riferimento alla bottiglietta, che aveva ucciso Venturini, durante il comizio di Almirante, riportata dal Corriere della Sera.
Affermazione che spinse il sostituto procuratore Enrico Zucca a riaprire l’inchiesta in seguito a un esposto dell’allora capogruppo di An in Regione, Gianni Plinio, giustificato proprio dalla pubblicazione dell’articolo del Corriere della Sera.
Ma Panella, intervistato dal quotidiano genovese Corriere Mercantile, negò ogni sua responsabilità sostenendo: “Non sono un assassino. La frase riportata dal Corsera andava letta in un certo contesto. Innanzitutto, va ricordato che la morte di quel povero militante di destra non fu un assassinio”.
Magari non fu un assassinio ma sta di fatto che c’è stato un omicidio.
Carlo Falvella, il barbaro omicidio
“Un altro martire per la gioventù d’Italia. Dopo Ugo Venturini il sacrificio di Carlo Falvella”,
Questo era il titolo pubblicato in prima pagina, quattro giorni dopo la morte di Falvella, sul Secolo d’Italia, organo ufficiale del Movimento Sociale Italiano, definendo l’aggressione dell’estrema sinistra un barbaro omicidio.
Ma chi era Carlo Falvella e perché era stato aggiunto ai martiri per la gioventù d’Italia?
Figlio di un tradizionalista cattolico, Carlo era uno studente di Filosofia all’Università degli Studi di Salerno e vicepresidente del FUAN di Salerno, organizzazione universitaria del MSI.
Il ragazzo aveva seri problemi alla vista al punto che, secondo i medici, entro trenta anni, gli avrebbero comportato la completa cecità.
E già da lì si era vista la forza d’animo del giovane che, infatti, anziché vedere quella problematica come un ostacolo ci scherzava coi genitori, in quanto era solito dire “Ho scelto Filosofia, perché potrei comunque continuare a insegnarla anche senza dover scrivere. Ma devo far presto a laurearmi. Devo assolutamente riuscirci prima di diventare cieco”.
Un’audacia che mostrò anche nel campo politico.
La militanza nel FUAN
Infatti, nel 1971 aderì al FUAN, l’organizzazione universitaria del Movimento Sociale Italiano – Destra Nazionale, in un periodo in cui il contesto politico era particolarmente teso per via dei continui contrasti tra militanti di destra e di sinistra.
Una passione politica che gli era stata trasmessa dalla madre, che era infatti una missina convinta. L’inizio della fine di Falvella ebbe luogo sul Lungomare Trieste di Salerno, verso le 19.30.
Lo studente era insieme a Giovanni Alfinito, anche lui iscritto al FUAN.
I due ebbero una prima discussione con il trentatreenne Giovanni Marini e con il suo amico Gennaro Scariati, entrambi appartenenti ai gruppi anarchici, con cui si erano casualmente incrociati.
Circa due ore dopo, in via Velia, si ripeté lo scontro, ma ai due anarchici si era aggiunto Francesco Mastrogiovanni.
(…) A quel punto ho visto sopraggiungere il Marino (Marini, ndr) armato di coltello, che brandiva nella mano destra, e gridava una frase che non ho ben compreso, ma che voleva significare: “Mi sono scocciato!”. Mi ha vibrato una coltellata al basso ventre che io per caso sono riuscito ad evitare in parte.
Ho visto Marino vibrare qualche coltellata all’indirizzo di Falvella, il quale riusciva a parare i colpi difendendosi. Durante questa colluttazione però è caduto, mentre Marino continuava a colpire.
Il Falvella si è rialzato ed è riuscito a disarmarlo.
La deposizione
Questo è quanto fu riportato dalla deposizione di Giovanni Alfinito, resa l’8 luglio 1972.
Ho estratto un coltello che avevo in tasca e rivolto ai due, impugnando l’arma, ma senza colpire, ho detto: Andate via! Poiché gli stessi continuavano nell’atteggiamento innanzi descritto mi sono diretto verso l’Alfinito, che poco distante colpiva il Mastrogiovanni: ho cominciato a colpirlo con il coltello.
Subito dopo, mentre l’altro giovane fascista mi veniva incontro disarmato – dico meglio con un pezzo di ferro in mano – l’ho colpito non ricordo con quanti colpi. Il giovane è rimasto all’in piedi mentre io, buttato il coltello a terra, sono scappato nei vicoli di Salerno.
Questa fu, invece, l’ammissione resa ai Carabinieri da Marini, che si era costituito la sera stessa della morte di Falvella, mentre gli altri erano fuggiti rendendosi irreperibili.
La morte del giovane fu denunciata anche alla Camera dal ministro dell’interno, Mariano Rumor, individuando nei tre giovani anarchici gli aggressori di Falvella e in particolare in Marini il possessore del coltello a serramanico con cui fu colpita all’aorta la giovane vittima.
Il soccorso rosso si muove per Marini
Una versione che fu rifiutata dall’estrema sinistra e dove il PSI, in netta controtendenza al PCI, non manifestò alcun rammarico per la morte del giovane missino. Non per nulla per Marini ebbe luogo una vera e propria campagna innocentistica.
Infatti, poco dopo l’omicidio e la confessione di quest’ultimo, Soccorso Rosso Militante organizzò una campagna tesa a dimostrare l’innocenza dell’anarchico.
Nel 1974, Soccorso Rosso, nel corso del processo, pubblicò un pamphlet intitolato Il caso Marini nel quale si riportava una posizione di difesa nei confronti di quest’ultimo.
Alla stesura del documento parteciparono: Pio Baldelli, Lanfranco Binni, Marco Boato, Sandro Canestrini, Dario Fo, Giambattista Lazagna, Roberto Matta, Franca Rame, Giulio Savelli, Giuliano Spazzali e Pietro Valpreda.
E fu sempre Soccorso Rosso a proporre una ricostruzione dei fatti in cui Falvella e Alfinito, oltre ad essere accompagnati da un’altra decina di fascisti, sarebbero stati anche armati di coltello.
La vita di un fascista vale 7 anni
Lo stesso giugno l’avvocato Giacomo Mele, esponente missino di rilievo che rappresentava la famiglia Falvella, in risposta al pamphlet preparato da Soccorso Rosso, fece stampare un altro documento intitolato: Marini, una marionetta del sistema.
Nel 1975 Marini venne condannato a dodici anni per omicidio preterintenzionale aggravato e concorso in rissa.
In appello, però, la condanna venne ridotta a nove anni, sette dei quali effettivamente scontati. Alfinito, Mastrogiovanni e Scariati vennero invece assolti dall’accusa di rissa.
E pensare che un anno prima, nel 1974, il Comitato Anarchico G.Marini di Firenze aveva pubblicato un altro libro inchiesta dal titolo Se scampi ai fascisti ci pensa lo Stato.
Già, uno Stato che fece scontare solo sette anni di carcere a chi aveva tolto la vita a un giovane fascista con tanto di complici assolti
Nemes Sicari