Tristi in paradiso – Passeggiando sotto i portici bolognesi capita frequentemente di leggere un’ampia varietà di parole, frasi, espressioni e spesso tentativi di poesie “urbane” strappa lacrime o strappa sorrisi.
Chiunque vi si può imbattere, nessuno escluso. E lungo il tragitto abituale che percorro quando mi reco al Dipartimento di Storia Culture e Civiltà, passo sempre accanto a una frase dai caratteri esili e cubitali, la cui imponenza, tuttavia, non riesce a suggerirne una solidità, anzi, quelle lettere dalla grafica gracile suscitano una precarietà confermata dal contenuto: “Vogliamo una vita bella”.
Il controsenso della nostra epoca
Quanta presunzione – potrebbe pensare qualcuno.
Sì, probabilmente tanta presunzione. Ciò nonostante, penso che alla base di questo messaggio si celi un disagio tutt’altro che nascosto, bensì esplicito, conclamato: il disagio di un’esistenza che è mera condizione di insoddisfazione incomoda che non garantisce il benessere interiore, pur vivendo noi nella disponibilità di risorse materiali che piovono dall’albero della cuccagna, essendo questa una vita materialmente dignitosa, un privilegio concretizzatosi in terra, nel bene e nel male.
La sensazione che si percepisce è quella di vivere in un vero paradiso, certo, un Eden plasmato sulla terra che viene venduto come il miglior stile di vita tra un listino di sconti e un catalogo della spesa. Un paradiso in terra la cui mondanità e la sua lordura però sono state spesso contrapposte, dalle diverse società, al vero Paradiso, regno di elevazione ed esaltazione dello Spirito.
Insomma, viviamo nell’agio materiale, ma il malcontento e la frustrazione dilagano, soprattutto tra i giovani. E la sensazione è quella di vivere tristi in paradiso.
Tristi in paradiso
Ed è per questo che mi rivolgo principalmente alle giovani generazioni, a quella categoria a cui appartengo. Ed è alle giovani generazioni di oggi che vorrei dire che del giudizio altrui dovrebbero interessarsi poco o niente.
O quanto meno, esse dovrebbero essere in grado di ascoltare, sì, saper soppesare, sì, ma con il giusto contrappeso, senza eccedere con il carico, per evitare di cadere vittime del retoricume contemporaneo.
Poiché la questione, ma anche la querelle in merito ai giovani svogliati e sedentari, che desiderano con arrogante presunzione la ‘bella vita’ senza procacciarsela è diventata stucchevole e nauseabonda. I giovani devono desiderare una ‘vita bella’, gratificante e piena nel contenuto, non una ‘bella vita’, vuota ed esteticamente attraente e avvenente nell’apparenza.
Una gioventù che non arde
I ventenni dovrebbero essere incendiari, essere protagonisti di rivolte, sfruttare l’ardore fiammeggiante scatenato dentro di loro che scalcia e morde, che frantuma e spacca le costole, che strappa i muscoli, che fa schizzare le vene, che sfibra i tendini e i legamenti, che taglia e lacera la pelle!
I giovani devono essere rivoluzione e procedere nella mietitura del marcio, fare olocausto dell’inutile, dell’eccesso, praticare quella che in agricoltura viene definita ‘debbiatura’: bruciare i campi per estinguere i residui e fertilizzare la terra, affinché possa nuovamente prosperare.
Ma i giovani non devono essere magnanimi, né tantomeno moderati, poiché quando essi saranno vecchi, e non saranno più ‘rivoluzione’ nel concreto ma solo nel desiderio, se non addirittura nel ricordo, altri verranno, animati dal medesimo desiderio di rivoltare il mondo che oggi implode in loro.
Allora, quelle nuove generazioni di incendiari non dovranno avere pietà di voi – di noi – che giustamente vi estirperanno – ci estirperanno – poiché sarete – saremo – vecchi e sterili nell’azione. E così sradicheranno il mondo che avevate – avevamo – costruito, e le stagioni seguiranno ancora il loro ciclo.
Abbiate, adesso, il coraggio di sputare la rabbia, di soddisfare il desiderio – che esiste! – di serrare le mani in pugni, sferrarli e squassare il mondo per agguantare la vita bella.
Riccardo Giovannetti