Cosa è una moschea
Moschea deriva da «meschita», traslitterazione dall’arabo «masjid» in spagnolo (in cui la «j» ha una resa dura).
É difficile spiegare cosa costituisca per un musulmano la moschea.
Inizieremo col dire che la moschea svolge due funzioni e assume pertanto due differenti denominazioni intrinseche: masjid/moschea quando vi ci si prostra per pregare; ma è anche preposta a diventare jami’a (= unione/gruppo) dove il musulmano entra in seno alla «umma» (comunità dei credenti).
Pertanto, moschea è il luogo di preghiera dove si compiono le prosternazioni del musulmano orante. Jami’aha una resa profondamente differente: è il luogo dove il musulmano trova ausilio/rifugio/conforto, financo complicità.
Elemento umano determinante per la moschea è l’Imam, ossia colui il quale lancia l’appello per le 5 preghiere giornaliere, le presiede e il venerdì tiene il sermone.
L’ingerenza della fratellanza musulmana nelle moschee europee
Numerosi servizi giornalistici hanno ampiamente documentato che la maggior parte degli imam deputati a guidare la preghiera nelle moschee d’Europa, nei loro sermoni, tendono a giustificare le azioni jihadiste; sono orientati a dare asilo al jihadista in fuga; si adoperano affinché i «panni sporchi» (reati di criminalità o terrorismo) vengano lavati in casa propria, ossia nella jami’a… ne discende che nelle moschee d’Europa agiscono imam estremisti, adepti del wahhabismo e contigui alla consorteria dei Fratelli Musulmani il cui motto non dà adito a dubbi: «Dio è il nostro obiettivo. Il Profeta il nostro capo. Il Corano è la nostra legge. Il jihad è la nostra via; morire nella via di Dio è la nostra suprema speranza».
Quindi: moschea sì o moschea no?
Stante il numero consistente di musulmani in Italia, buon senso vuole che si autorizzi la costruzione di luoghi di culto destinati alla preghiera islamica, soprattutto perché, oggettivamente, è l’unico modo per controllare una massa di persone (che in Europa costituisce quasi il 10% della popolazione) fra le quali potenzialmente si annida il virus dell’integralismo islamista (con il suffisso «ista» intendo la militanza, suscettibile di degenerare in jihadismo).
L’Islam «intollerante» e quello «tollerante» secondo un’azzeccata differenziazione.
È di questi giorni la notizia per cui grazie ai fondi del Sovrano marocchino Mohammed VI, in quel di Torino, verrà costruita una grande moschea. Piccandomi di conoscere abbastanza bene l’Islam e vivendo da un bel po’ di tempo in Marocco, da cattolico convinto, dico: ottima notizia! E spiego il perché.
L’islam che più ci tocca da vicino è diviso in due grandi realtà che il sovrano marocchino ha avuto il coraggio di evidenziare: l’Islam «intollerante» e quello «tollerante».
L’Islam «intollerante» è quello di marca wahhabita, incistatosi in Europa grazie all’attivismo della consorteria dei Fratelli Musulmani e che, a grandi linee, esprime una spiritualità tetragona decaduta a ideologia.
L’Islam «tollerante» è quello professato in quei paesi dove la Shari’a (la retta via indicata dal Corano) è influenzata dalla spiritualità sufi e disciplinata dalla giurisprudenza islamica della scuola Malakita (la più rigida quanto alla prassi ma la più tollerante quanto a rapporti extra musulmani).
Il Marocco
Fra questi paesi si erge il Marocco il cui sovrano, essendo discendente diretto da Mohammad, è depositario di una legittimità superiore persino ai monarchi sauditi che ricoprono il ruolo di guardiani del sacro suolo calpestato dal Profeta Mohammad.
Non per nulla il sovrano marocchino veste il titolo di «amir al mouminine», ossia Principe/protettore dei credenti, intendendo il termine credenti esteso alle altre due religioni abramitiche, l’ebraica e la cristiana.
Per lumeggiare, pur a grandi linee, il fondamento dell’Islam marocchino, propongo il sunto dell’allocuzione che il padre dell’attuale Re, allora principe Hassan (destinato a diventare Re Hassan II) ha rivolto agli astanti durante l’inaugurazione del Monastero di Toumliline nell’alto Atlante: «in questo paese che sua maestà il Re spera veder divenire il trait-d’union tra Oriente e Occidente, signore e signori, siete a casa vostra… perché l’uomo d’abbene, il credente, l’onesto, è a casa sua dappertutto; per cui, questo Paese che è anche il vostro è soprattutto la casa di Dio, la casa di tutti i credenti, quella di tutti gli uomini che hanno eguali aspirazioni in un mondo migliore».
La tolleranza
Sulla scia della tolleranza religiosa dell’Islam marocchino vi è quello professato in Tunisia, in Giordania, in Egitto e, prima degli sconvolgimenti delle relative guerre, anche in Iraq, in Libia e in Siria, paesi musulmani nei quali insistono chiese e cattedrali con preti e vescovi e, in Marocco, anche un cardinale. Un Islam, quindi, diverso da quello del quale abbiamo troppo spesso esperienza in Italia, ove, invece, sta attecchendo quello «intollerante» veicolato dalla Fratellanza Musulmana.
Fino ad ora ho prospettato gli aspetti escatologici utili a delineare le differenze tra un Islam dal quale dobbiamo diffidare e uno del quale (evitando ogni cedimento identitario e sbracamento ecumenista e relativista) ci possiamo fidare e che può essere un utile alleato nel controllo delle comunità islamiche incistate da noi.
Se moschea sì, scegliamo quella dove non si predichi la Da’wa integralista
affrontiamo adesso gli aspetti attinenti alla questione della sicurezza. Una moschea gestita da un imam marocchino sarebbe un luogo in cui vi si praticherebbe una «da’wa» (invito ad ascoltare il messaggio dell’islam) orientata sì a conculcare la spiritualità musulmana, tuttavia nel rispetto delle leggi e delle tradizioni locali, una Da’wa ispirata all’allocuzione di Toumliline.
Ne deriverebbe sia la flemmatizzazione di ogni spinta integralista, sia la disciplina di una comunità che per religione e tradizioni differenti dalle nostre è suscettibile, di costituire (come troppo spesso costituisce adesso) un elemento di disturbo destinato sia ad espandersi, sia a incancrenirsi.
L’efficacia della presenza di imam che professano quello che abbiamo identificato essere l’Islam tollerante, è comprovata dal fatto che nel Sahel-Sahara la predicazione integralista delle avanguardie di ISIS ha cominciato ad arretrare con il sopraggiungere di imam inviati dal Marocco e adesso è quasi estinta.
La casa dell’ordine
Detto ciò, va tenuto presente che l’Islam è una religione “totalitaria” (absit iniuria verbis e buon per loro), poco incline ad accettare le altre fedi, perché il suo scopo è quello di passare dalla realtà della “dar al harb” (casa del disordine) a “dar al Islam” (casa dell’ordine) ove la società è totalmente islamizzata.
Nessuno deve adattare la propria spiritualità alla spiritualità di altri, ne va della propria sopravvivenza identitaria, pertanto, sta a noi recuperare l’avita identità spirituale, testimoniarla e difenderla, solo così si raggiungerà un equilibrio con la crescente comunità islamica che giunge da altre terre, perché a fronte di paletti spirituali identitari il musulmano in buona fede si dimostrerà rispettoso.
Dunque, se moschea deve essere, sia una moschea sovvenzionata dal Sovrano marocchino e con imam marocchini, con l’auspicio che essa possa fungere da sprone ad una nostra sincera conversione al Vangelo di ‘Aissa Ibn Mariam (Gesù figlio di Maria) rendendoci pronti a difenderlo ad oltranza, proprio come i musulmani sono disposti a difendere il Santo Corano.
di Corrado Corradi
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