Reportage dalla Terra Santa – p.6

Reportage dalla Terra Santa
Reportage dalla Terra Santa – p.6

Un secondo appuntamento dentro il Patriarcato Latino di Gerusalemme e incontriamo Sarah Parenzo, una ricercatrice e pubblicista in ambito accademico. La premessa del suo discorso prende il decollo dalle maglie giuridiche da cui si muove Israele e attraverso le quali si districa nel suo confronto faccia a faccia con i palestinesi. Poi, ad un tratto, la navicella del suo discorso devia per una traiettoria coerente puntando verso N., il leader israeliano che è alla guida del paese in qualità di primo ministro, detto anche Bibi per gli amici e per le cronache.

Come ci spiega la Parenzo, fino a quando l’esercito israeliano non aveva liberato un gruppo di ostaggi a metà giugno, N. non aveva degnato di attenzione le loro famiglie, ma quando li hanno riportati a casa si è recato in ospedale per visitarli con lo scopo – secondo i più malpensanti – di farsi fotografare sfruttando le circostanze per il suo torna conto politico.

E a onore del vero, come racconta la nostra relatrice, N. sembra guadagnare sempre dei punti a suo vantaggio, anche quando sembra politicamente morto. Così come in molti lo avevano ormai dato per finito poco prima del 7 ottobre, evento che invece gli ha permesso di rafforzare il suo zoccolo di consensi e di dimostrare il suo essere conforme alle lezioni machiavelliane con la sua qualità di leader politico capace di seguire la corrente della fortuna e arginarla e sfruttarla a suo vantaggio.

La Corte Suprema

Prima della decisione della Corte suprema israeliana, c’era un’intera fascia della popolazione esentata dalla leva militare e pagata dallo Stato: si tratta degli ebrei ultraortodossi, una “classe” della società israeliana diametralmente diversa dalla fascia liberale che contesta le politiche di N. e, tra le altre cose, la sua riforma della giustizia. Sottolineiamo che il disegno di legge che esentava gli ultraortodossi dalla leva militare era una mossa fondamentale per consolidare il consenso di N., ma ora la situazione è cambiata.

I sionisti liberali

La società israeliana è molto complessa ed è più stratificata e intricata di quanto si possa pensare. Consideriamo che ogni sabato sera a Tel Aviv si svolgono delle contestazioni contro il governo, a cui partecipano i sionisti liberali, categoria tortuosa e cuore pulsante della società che gestisce il potere economico, l’hi-tech, i vertici militari.

Tuttavia, il loro grido di uno spazio democratico è in contrasto con l’elemento ebraico, come spiega Sarah Parenzo. Israele è sì una de jure e de facto una democrazia, ma il suo regime democratico è per gli israeliani, e di conseguenza il suo ombrello politico esclude chi non lo è.

Università

Guardiamo al caso delle università israeliane. Queste istituzioni del dibattito e del dialogo, dispensatrici dello spirito critico necessario alla ricerca e alla conoscenza interdisciplinare e interculturale si sono invece rivelate il braccio destro del sionismo duro e puro, il braccio forte del governo.

All’interno delle aule accademiche è stata messa in opera una vera caccia alle streghe, passando attraverso il controllo dei social personali di docenti e studenti che si sono schierati contro le politiche governative o si sono espressi su tesi antisioniste.

Alcuni studenti hanno inviato una lettera al ministro dell’istruzione affinché venisse approvato un disegno di legge che cacciasse via i docenti dalle università, molti dei quali sono stati accusati di essere traditori della patria per essersi opposti al conflitto in corso.

Addirittura, gli studenti più intransigenti hanno affisso cartelli lungo le strade con i nomi dei docenti e le loro citazioni contro la guerra, mettendo in atto delle vere liste di proscrizione. E chi è stato reintegrato subisce ancora delle vessazioni e delle pressioni.

Il collasso della società

Questa situazione a livello accademico è soltanto una delle tante realtà che tradiscono un sistema di salute mentale inquinato, e questa condizione malsana è il riflesso di un collasso della società, che osserva un aumento dei suicidi tra i giovani, per esempio tra coloro che erano presenti al rave party il 7 ottobre.

Ma questa natta cutanea è un tabù, così come non si deve parlare dei soldati che tornano mutilati dal fronte e attanagliati dal post-traumatic stress disorder.

La relatrice racconta che è stata a un congresso di psicoterapia, dove si è detto che questo periodo storico verrà definito in futuro come una terza guerra mondiale, per via dei danni subiti a tutti i livelli della società. Ed è sintomatico che dal giorno 1 del conflitto hanno ricevuto corsi di formazione per affrontare le condizioni psicofisiche post trauma.

Evitare di generalizzare

Come ho scritto sopra, la situazione è complessa e scandagliarne ogni anfratto e valutare ogni sua manifestazione non è immediato. Motivo per il quale si dovrebbe evitare la generalizzazione etichettando l’insieme come cattivo, sanguinario e guasto.

Il caso dell’elemento militare è emblematico. Molti dei soldati israeliani che si trovano a Gaza sono confusi, molti non combattono perché sono convinti militanti, ma perché si sentono frustrati e in colpa sapendo e vedendo i loro commilitoni, i loro amici che tornano dalla striscia feriti o morti, e questo è il caso di uno dei figli di una delle relatrici conosciute.

La narrazione dei fatti è una cosa. Il fatto in sé è un’altra narrazione.

Riccardo Giovannetti

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