Referendum sul nucleare, 35 anni dopo – Sono passati 35 anni da quel novembre 1987 quando l’Italia decise per via referendaria di spegnere i propri reattori nucleari. Scelta sventurata per la quale un intero nostro comparto industriale, di eccellenza per di più, si avviò alla chiusura.
Una scelta contrastata
Scelta, ricordiamo, che da allora non ha avuto reale seguito in nessun altro paese del mondo, un unicum tutto italiano, per il quale la nostra nazione è divenuta una cenerentola tra le grandi nazioni industrializzate, tragicamente destinata a importare energia dall’estero, con i relativi aggravi economici e in termini di ridotta indipendenza politica.
Da allora l’Italia ha pagato bollette stabilmente più salate rispetto ai propri concorrenti europei, con relative perdite di competitività della nostra industria.
I reattori accesi alle porte di casa
Da allora l’Italia importa circa il 15% del proprio fabbisogno energetico essenzialmente da tre paesi ossia (in ordine di importanza per quote di importazione): Svizzera, Francia, Slovenia. Tre paesi nostri confinanti che per di più, triste ma prevedibile ironia della sorte, sono tre paesi che i reattori li hanno accessi e che quindi vendono l’energia nucleare che noi non ci produciamo in casa. Non che il restante 85% sia coperto in maniera propriamente autarchico, di quell’85% di energia elettrica rimanente, circa la metà è energia termoelettrica, ottenuta sì in Italia, ma bruciando gas che importiamo dall’estero. Perciò non solo energia nucleare direttamente acquista dai nostri vicini ma anche una accresciuta dipendenza dal gas per le produzioni termoelettriche.
Fino a ieri avevamo Gazprom
Fino a ieri era la Russia a fornircelo, non gratis ovviamente ma comunque a prezzi di favore, oggi ci arrabattiamo per sostituire la Russia – chissà poi perché dal momento che il gas non è sanzionato dalla UE e la Russia è ancor ben desiderosa di esportarlo per rimpinguare le proprie casse – con il gas liquido americano molto più caro e per il quale ci dobbiamo arrazzare con i rigassificatori vari o con altri fornitori che non sono certo dei santarellini in confronto ai russi (vedi i contratti recentemente stipulati con l’Azerbaijan che conduce indisturbato la sua guerra di sterminio contro i cristiani armeni o il Quatar, notorio finanziatore di tutta la galassia dell’Islam radicale).
La vittoria al referendum
La vittoria del fronte del NO al referendum sul nucleare degli anni ’80 fu una decisione emotiva, irriflessa, presa sulla scia del disastro sovietico del 1986 di Chernobyl. Inutile ricordare che il ripetersi del disastro di Chernobyl sia tecnicamente impossibile. La tipologia di reattore sovietico di Chernobyl non è più ovviamente in produzione, per di più la centrale aveva la doppia funzione di produzione di energia per scopi civili e di arricchimento dell’uranio per scopi militari, da cui la dissennata volontà delle autorità sovietiche di prescindere dalle più elementari norme di sicurezza per facilitare la produzione militare.
Cambiare rotta
In tutto questo, sebbene l’Italia si sia fermata, non si è fermato il mondo, dove i reattori continuano a crescere – favoriti anche dalla recente paranoia sulle emissioni di CO2 (un reattore nucleare, ricordiamolo, emette solo vapore acqueo e zero CO2) – e non si è fermato lo sviluppo del comparto nucleare, con lo sviluppo di centrali di nuova generazione (capaci di riutilizzare anche le famigerate “scorie” che altro non sono che qualche chilo di materiale radioattivo lavorato, che stoccati in uno spazio di cemento e piombo divengono totalmente inoffensivi). La scelta dovrebbe essere facile: continuare a comprare energia nucleare e gas dall’estero o diventare indipendenti e produrre energia in sicurezza in Italia?