Quiet quitting, l’abbandono silenzioso della responsabilità – Il quiet quitting, termine anglosassone, chissà poi perché nella nostra amata Italia dobbiamo sempre farci influenzare da tendenze e modi comportamentali sempre dalla cultura anglosassone così lontana e avulsa dalla nostra, che tramandata dai nostri padri discende direttamente dalla grande cultura greco -romana, tradotto letteralmente significa “abbandono silenzioso” e nella pratica si traduce nella scelta dei dipendenti di eseguire il minimo indispensabile nel rigoroso rispetto delle proprie mansioni assegnate nell’orario di lavoro.
Lavorare nei tempi e nei modi indicati dal contratto, senza fare straordinari o assumersi responsabilità straordinarie ovvero lavorare ma non troppo, puntando a destinare il proprio tempo a cose ritenute più importanti ed appaganti, salvaguardando però il posto di lavoro e di conseguenza lo stipendio che permette, appunto di dedicarsi a ciò che piace questo fenomeno non è nuovo ma ha assunto nel post periodo pandemico, anche grazie alla spinta dei social, una certa rilevanza tra le nuove generazioni
Le cause
Il quiet quitting è una vera e propria controtendenza rispetto alla hustle culture, che è il mito di matrice statunitense secondo il quale le persone dovrebbero dedicare tutta la propria vita al lavoro. Un mito che, era poi la causa il cosiddetto fenomeno del burnout, ovvero l’esaurimento. Questo è dovuto anche grazie, all’impoverimento del mondo del lavoro che insieme a scuola e famiglia, doveva essere uno dei pilastri della formazione e dell’arricchimento dell’individuo,
Se prima una persona affacciandosi al mondo del lavoro, partiva dal basso, facendo la classica “gavetta”, poteva poi, se aveva i requisiti, imparando ed assimilando le tecniche, ambire ad una crescita professionale che in alcuni casi portava l’individuo a ricoprire cariche di una certa rilevanza all’interno dell’azienda.
Dalla fine degli anni ’80, questo non è più possibile, ora la persona viene assunta per fare compiti alienanti, non viene assolutamente formata e viene “spremuta” con la falsa promessa di una crescita professionale inesistente, e che dire dei cosiddetti “manager aziendali”, quasi sempre incapaci, inseriti in contesti aziendali grazie al nepotismo, servili verso i propri superiori e privi di una visione lavorativa che dia una visione di sviluppo futuro dell’azienda di appartenenza.
Tutto ciò ha portato a vedere il lavoro non più come una crescita individuale, ma come un male necessario per avere il compenso economico per dedicarsi a cose che si ritengono più gratificanti.
Il Quiet Quitting in Italia
Dallo studio di analisi e consulenza Gallup, datato 2022, si rileva che la percentuale media di engagement a livello globale è del 21% e negli Stati Uniti almeno la metà degli americani sembra composta da quiet quitter.
Dallo studio emerge, anche, che il fenomeno seppur non essendo una novità, post pandemia sta crescendo in modo significativo, portando molti a ridefinire le priorità di vita e il proprio rapporto con il lavoro, cercando un migliore equilibrio esistenziale e, rivela anche ,che ad essere meno disposti a scendere a compromessi sul lavoro sono in particolare i Millennial e gli esponenti della Generazione Z.
L’Europa è ultima tra i continenti per coinvolgimento sul lavoro, con una percentuale del 14% mentre l’Italia si colloca all’ultimo posto in Europa, con una percentuale di engagement del 4%.
Le imprese, per mitigare questo fenomeno in costante aumento, e per provare ad arginare l’ondata di malcontento, devono andare incontro a queste considerando che il tasso di Quiet Quitting appare maggiore laddove la leadership aziendale si mostra incapace di conciliare gli obiettivi di business con le esigenze del personale.
Paolo Ornaghi
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