Proprio la smentita conferma la concretezza della pista palestinese – Ammettendo per un attimo, ma solo per un attimo, che il leaderino degli avvocati di parte civile nel processo a carico di Gilberto Cavallini, Andrea Speranzoni, abbia ragione e che la “pista palestinese” altro non sia che un “depistaggio preventivo”, come si potrebbe rispondere alla seguente domanda: perché Thomas Kram non fu fermato, la mattina del 2 agosto 1980?
E perché non furono fermati tutti gli altri terroristi, intranei o contigui alle Br – e, di conseguenza, manovrati dal Kgb e, quindi, in ultima istanza, operanti sotto all’ombra della parte oscura del Pci – che quella mattina si trovavano a Bologna, proprio negli hotel davanti o vicinissimi al luogo dell’attentato?
Non è curioso, infatti?
La presenza nel capoluogo emiliano di tutti questi comunisti armati e fiancheggiatori del terroristi palestinese era perfettamente nota ai “servizi” e non solo nessuno venne quanto meno interrogato, ma addirittura, gli stessi “servizi” che avrebbero dovuto addossargli la responsabilità della strage si spesero per oltre vent’anni per occultarne la presenza sotto le Due Torri.
Non solo “infedeli” e “traditori”, questi “spioni”, ma anche palesemente stupidi.
E se si dimostrarono così stupidi, cosa si dovrebbe pensare dei tanti magistrati bolognesi che si sarebbero fatti giocare da loro per decenni?
Ascoltato qualunque cosa dica
Speranzoni fa bene, tutto sommato, a parlare con tanta sicumera: qualsiasi cosa dica, anche in palese contraddizione con quanto sostenuto precedentemente, viene ascoltata in tribunale con religiosa attenzione.
Se fosse per lui – chi può scordarla, quell’udienza di contro esame dell’imputato? – il milione di dollari che Licio Gelli avrebbe dato ai Nar per compiere l’attentato sarebbe stato versato nei conti di Gilberto Cavallini. Ovviamente, nella versione numero 1 dello Speranzoni.
Come tutte le certezze granitiche, però, crollò in aula col peso della pietra morta senza più sostegno. E quindi? Quindi poco male: incassata comunque, a dispetto delle evidenze, la condanna in primo grado di Cavallini, quel milione di dollari si trasforma, nel processo a carico di Paolo Bellini, da transazione bancaria a consegna “in contanti” dalle mani di Marco Ceruti a quelle di Valerio Fioravanti, in quel di Roma.
Ancor più curiosamente, nel processo in cui questo non secondario evento prodromico alla strage stessa viene illustrato, la Corte chiamata a giudicare non sente il bisogno di convocare Giusva, per chiedergli conto di quell’incasso.
Per altro, per avvalorare la versione 2, non si può nemmeno convocare in aula il Ceruti, il quale, contrariamente alle aspettative, non cede alla paura di un rinvio a giudizio per falsa testimonianza e si ostina a negare la circostanza.
Tanto peggio per la verità?
Cosa fare allora? Poco male: se la realtà non è attagliata alle necessità processuali, tanto peggio per la realtà: Gelli è morto e non può più smentire alcunché e, allora, ecco la terza versione: li ha consegnati lui al terrorista.
Ora, in quale altro tribunale del mondo prove che cambiano aspetto e consistenza da un processo all’altro sarebbero ammesse, se non appunto solo a Bologna?
Dunque, quale difficoltà ci può essere nel denunciare come depistaggio preventivo una ipotesi che troverebbe suffragio proprio in carte che i “servizi segreti” – che le avrebbero prodotte per aiutare gli imputati nei vari processi – hanno, invece, preteso e ottenuto di occultare almeno fino al 2029? Sì, perché questa è l’altra parte della verità: se i “servizi deviati” dell’annata 1980 si comportarono stupidamente, creando una pista falsa, ma poi insabbiandola – come sostiene Speranzoni -; non meglio fecero i successori, i quali insistettero incessantemente a spalare terra su quei fogli per seppellirli in modo definitivo.
Servizi “simpatizzanti”
Dunque, tutti imbecilli, quelli assunti nei “servizi segreti” italiani, per oltre 40 anni?
E dire che, almeno da una ventina a questa parte, vertici e quadri di quei servizi sono nominati e assunti da ministri del Pd, erede del Pci, e di cui Speranzoni non fa mistero di essere attivo simpatizzante.
Se in Italia ci fosse la possibilità di ragionare certe cose con imparzialità, oggi si ammetterebbe come – se si è costretti a sostenere che sia stato “preventivo” il depistaggio che porta ai palestinesi – in realtà si ammette l’esistenza di documenti dei nostri organismi di sicurezza che parlano del coinvolgimento palestinese nella strage di Bologna e che sono stati occultati per decenni.
Carte che oggi qualcuno, legittimamente, visto il ruolo in cui gioca nei processi, prova a dichiarare “false”, ma che attestano, al contrario, consapevolezze circa i pericoli che correva l’Italia nel 1980 e denunciati prima ancora che, da rischi diventassero, crudeli e tragiche realtà.
Si tratta di un’ammissione implicita, non di un’esplicita confutazione di alcunché.
Una confutazione-ammissione resa disperatamente necessaria da ciò che il nuovo governo ha già in parte fatto e che è lecito sperare faccia fino in fondo: cancellare l’infame decisione di Giuseppe Conte e mettere a disposizione dei magistrati e dell’opinione pubblica tutte quelle carte.