Politica dei prezzi e investimenti nel pubblico – Quello che manca in Italia è una politica dei prezzi, unita a cospicui investimenti nel settore pubblico.
E manca da anni perché tutti i governi che si sono succeduti, compreso quello attuale, hanno avuto paura di violare i dogmi del liberismo.
Il mercato è intoccabile, sacro come una divinità e guai a ipotizzare un controllo da parte dello Stato.
Le vestali della democrazia capitalista insorgerebbero gridando allo Stato padrone e totalitario. Guai ad intaccare gli interessi e i profitti dei privati.
È un dato di fatto che nonostante gli interventi, comunque a sproposito, della BCE e di Christine Lagarde che ha aumentato a dismisura e ripetutamente, proprio negli ultimi tempi i tassi di interesse, l’inflazione ha ricominciato a correre falcidiando stipendi e pensioni e creando serie difficoltà alle famiglie più indigenti che non solo vedono ridotto il loro potere d’acquisto ma non riescono letteralmente ad arrivare a fine mese.
E non parliamo di chi pagando mensilmente un mutuo magari per la prima casa, ha visto lievitare la rata a dismisura cosa che ha aumentato la precarietà della propria situazione economica.
Fare una politica dei prezzi significa invece controllare il mercato e porre i freni necessari alle speculazioni e agli aumenti ingiustificati.
La folle corsa dei prezzi
Si tratta di stabilire un tetto oltre il quale non sia possibile andare.
Basta farsi un giro in un mercato ortofrutticolo o in un supermercato per constatare come alcuni generi alimentari di comune consumo siano diventati più che cari rispetto al passato.
Le patate da 0,80 euro al chilo sono passate a 1 euro e più, le cipolle da un euro a 1,50, lo zucchero da 0,69 euro a 1,49 per non parlare dell’olio extravergine o del burro e potremmo continuare.
Ovviamente la filiera dei prodotti andrebbe monitorata e regolamentata perché è noto che il caro prezzi non è dato dal produttore che spesso guadagna il minimo ma nei vari passaggi della distribuzione. Dov’è in realtà il problema?
Nel fatto che c’è troppa poca gente impiegata nel settore agricolo o è più verosimile, nel governo che non investe in modo adeguato come invece avviene in altri paesi?
Tutta colpa dell’Ucraina?
Ugualmente nel campo energetico, di sicuro la guerra in Ucraina ha avuto la sua influenza ma è pur vero che da sempre il petrolio l’Italia lo paga in dollari alla faccia dell’euro.
Uno solo ebbe il coraggio di pagare in euro, l’austriaco Georg Haider e sappiamo che fine fece. Gli italiani dall’introduzione della moneta unica hanno avuto solo svantaggi. Da allora le banche hanno fatto come gli pareva, favorite dai politici a loro asserviti.
Da allora l’apertura di un conto corrente comporta solo delle spese e nessun interesse. Lo sanno bene quelli che preferiscono tenersi i soldi sotto al mattone piuttosto che affidarli a chi li brucia in borsa. Anche in questo settore i governi che si sono succeduti hanno mostrato tutta la loro inefficienza lasciando lievitare un debito pubblico che ormai sfiora i 3.000 miliardi, dovuti non ai privati cittadini che ancora comprano titoli ma alle banche usuraie guidate dal Moloch di Bruxelles.
Tornare a produrre in Italia
Fare una politica dei prezzi significa abbassarli limitando le importazioni dall’estero e rilanciando la domanda interna. Significa privilegiare i prodotti nazionali evadendo le normative dell’Unione Europea che pongono dei limiti alle produzioni nazionali. Gli agricoltori italiani non hanno dimenticato la faccenda delle quote latte e ancora il malcontento è diffuso tra i contadini di Maccarese o dell’agro pontino. Fare una politica dei prezzi significa in sostanza rinegoziare il Trattato di Maastricht riprendendosi la libertà di amministrare e incrementare le risorse e le produzioni nazionali.
E al fianco di una sana e ragionata autarchia, si tratta di poter avviare in modo illimitato nuovi rapporti economici e commerciali con altri paesi anche fuori della zona euro. Era quello che stava in pratica succedendo con la Russia di Putin prima delle provocazioni americane che hanno arrestato lo sviluppo dei programmi economici europei improntati ad una maggiore autonomia e alla ricerca di nuovi spazi. Fare una politica dei prezzi significa rilanciare i servizi investendo nel pubblico, costruendo nell’ambito di nuovi piani regolatori urbanistici nuovi alloggi da destinare ai giovani che, in mancanza dei beni essenziali non riescono a sposarsi e ad avere dei figli.
L’autarchia non è un tabù
Tutto è stato lasciato nelle mani delle ditte edilizie private che, vedasi la legge del 110 %, non hanno esitato ad arraffare tutto ciò che era possibile, redigendo documenti secondo il proprio capriccio e moltiplicando le somme relative alle spese sostenute.
Investire nel pubblico significa recuperare e risanare intere aree urbane e rivedere la politica dei trasporti sull’intero territorio nazionale, significa ridurre le spese contro l’inquinamento limitando il trasporto delle merci su gomma ed estendendo il traffico dei treni ad alta velocità anche al trasferimento dei prodotti industriali. Ugualmente rafforzando il trasporto pubblico che è molto debole proprio nelle zone periferiche delle grandi città, Roma in primo luogo.
Si tratta di acquisire una nuova mentalità tale da avviare il cambiamento necessario. Non basta spacciare per riduzione del cuneo fiscale quello che è in realtà un bonus temporaneo, L’economia e il benessere dei cittadini non si curano con dei palliativi ma con provvedimenti energici e coraggiosi. Chi non ha il coraggio di agire in questo senso, al di là delle chiacchiere e dei provvedimenti di facciata, non governa il paese ma lo sommerge di aria fritta.
Nicola Cospito