Palestina: il Re è nudo – Ormai, il re è nudo, come dice il proverbio. L’inaudita nota di protesta dell’ambasciatore israeliano contro le parole del cantante Ghali sulle sofferenze del popolo palestinese – ancor più inauditamente accolta con prontezza servile dai vertici dell’azienda di Stato – e la decisione del governo di Tel Aviv d’impedire a una funzionaria italiana dell’Onu di entrare nei territori oggetto della gigantesca strage di civili che si sta consumando a Gaza dimostrano solo la mostruosa arroganza e prepotenza della classe politico-militare di quel paese.
Un conflitto che viene da lontano
Di più: tradisce anche la doppia cifra con cui ragiona i morti e le vittime di un conflitto che, in questa sua fase, non è iniziato il 7 ottobre con l’attacco di Hamas nei territori confinanti con la Striscia, ma molti anni prima, quando fu deciso l’accerchiamento e lo strangolamento economico del territorio di Gaza.
Una decisione strategica, quella israeliana, che certo non può giustificare l’orrore che si sarebbe scatenato nella “notte dei servizi di sicurezza più sicuri del mondo”, ma che spiega molto circa il fatto dell’incancrenirsi di una situazione che Tel Aviv non solo ha sottovalutato per lustri, ma anche indirettamente favorito, contribuendo alla delegittimazione dell’Olp e al rafforzamento proprio degli estremisti di Hamas.
Discettare su chi abbia iniziato cosa, però, è fuorviante rispetto all’emergenza indifferibile di oggi.
Distruzione e morte ingiustificabili
Israele, i suoi politici e i suoi diplomatici non possono neanche minimamente pensare di poter giustificare gli ormai 30 mila morti, in gran parte bambini e donne, con le tante – ma pur sempre 30 volte di meno – vittime del 7 ottobre.
Anche perché non ci sono solo 30 mila morti, ora a Gaza, ma anche decine e decine di migliaia di feriti, gran parte dei quali con mutilazioni e danni permanenti; per non parlare degli edifici dell’intera Striscia, completamente distrutti o irrimediabilmente danneggiati per il 70% del totale.
A fronte di queste cifre e del fatto che Bibi Netanyahu insiste per continuare in questo criminale modo d’agire anche per tutto il resto del 2024, tentare di negare che l’obbiettivo del suo governo sia l‘espulsione definitiva dei palestinesi dalla Palestina è, a dir poco, risibile.
Già se si fermasse oggi o domani, l’emergenza economica, sociale e sanitaria in cui sono stati gettati gli abitanti della Striscia sarebbe forse irrimediabile.
Figurarsi come sarà quel territorio tra 4 o 5 mesi di ulteriori bombardamenti, cannoneggiamenti e massacri di civili. Senza contare che, a questo punto, la comunità internazionale sarà chiamata a uno sforzo titanico, affinché quanto perpetrato dall’esercito con la Stella di David non diventi il pretesto per ulteriori anni e decenni di violenze da parte dell’estremismo islamico.
Arroganza inaccettabile, accettata però da servi e utili idioti
Ora, che in questo disastro politico, diplomatico e militare Israele tenti anche di mettere la mordacchia e a tacere le voci che dissentono rispetto alla vomitevole “narrazione ufficiale” degli eventi e che si alzano neanche per protestare, ma anche solo per criticare la linea di condotta del governo di Netanyahu è inaccettabile.
Ed è incredibile che il nostro Paese si candidi, anche in questa occasione, a vincere il premio di miglior attore non protagonista in una vicenda che assume ora dopo ora i connotati di un crimine senza eguali nel mondo civile e delle democrazie.
Anzi, proprio certe richieste di Israele, affinché vengano messe a tacere le voci del dissenso su quanto accade nella Striscia, dovrebbero indurre la Farnesina, se non il governo tutto, ad allineare la posizione dell’Italia a quella di chi, anche in America e nella stessa Israele, denuncia la dimensione criminale che ha assunto e sta assumendo la rappresaglia israeliana.
Altrimenti, come all’Italia e al mondo è stato insegnato dal 1945 a oggi, anche questo sarà un silenzio paragonabile alla connivenza nei delitti compiuti.
Perché i morti palestinesi, nella coscienza dell’Uomo, non valgono e non possono valer di meno di quelli di altre etnie.
Massimiliano Mazzanti