Modesta difesa della “macchina automobile”
Se ci pensiamo bene, non esiste, ai nostri tempi, un oggetto più “iconico”, come si usa dire oggi, dell’auto. Già definirla semplicemente “oggetto” ci sembra di offenderla con una diminutio, considerato che la “macchina automobile”, come la chiamavano all’inizio del secolo scorso, è chiaramente molto di più di un oggetto, molto di più di un mezzo, di uno strumento, di un semplice macchinario. Nessuno si sognerebbe di comparare l’auto a una fresa, a un tornio, a un decespugliatore anche se, in fondo, si tratta sempre di strumenti meccanici atti a facilitarci la vita.
Auto da sognare e da odiare
Oggetto di culto laico, simbolo di molte cose, obbiettivo di desideri se non di sogni, comprimaria di molte vite, destinataria di cure e attenzioni talvolta maniacali, nella sua storia l’auto è stata non solo apprezzata, ma anche adorata, esaltata quanto anche esecrata e demonizzata.
Filippo Marinetti così poetava nel suo Manifesto Futurista (usando il genere maschile): “Un automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bello della Vittoria di Samotracia”. “L’automobile è femmina”, la esaltava invece Gabriele D’Annunzio in una sua lettera a Giovanni Agnelli che gli chiedeva se automobile fosse maschile o femminile.
Tuttavia molti pensatori conservatori, reazionari e antimoderni l’hanno odiata e disprezzata. Robert Poulet, scrittore cattolico e nazionalista belga vicino a Charles Maurras e alla sua Action française, condannato a morte per collaborazionismo dopo la guerra (condanna poi commutata a sei anni di durissima detenzione e poi all’esilio in Francia), reazionario purissimo e radicale, è l’autore di un pamphlet contro l’auto tagliente e denso di invettive, pubblicato in Italia dall’editore Volpe negli anni ’60 con il titolo Contro l’automobile. Questo l’incipit del libello: “O mostro vomitato non dall’inferno, ma dalla inguaribile ingegnosità dell’uomo, io dirò l’odio che mi ispiri”.
Il rombo del motore
Nel 1974 l’editore Vallecchi pubblicava un volumetto collettaneo prefato da Rodolfo Quadrelli, autore conservatore che dichiarava di non amare “le plebi semicolte”. Il testo, titolato Il rombo del motore, raccoglieva, tra gli altri, saggi di Quirino Principe, Rosario Assunto, Guido Ceronetti, ed era fortemente critico del fenomeno della motorizzazione di massa.
Assai interessante è il contributo di Quirino Principe, grande intellettuale antimoderno dalla vasta e poliedrica cultura, uno dei migliori musicologi italiani, ammiratore della civiltà e della cultura mitteleuropea e asburgica, di raffinata sensibilità estetica: sua è la bella curatela de Il Signore degli Anellidi J.R.R. Tolkien, edito da Rusconi nel 1970, con l’introduzione di Elémire Zolla e la esemplare traduzione di Vicki Alliata di Villafranca.
L’attacco dello scrittore all’auto è radicale: “E’ ormai chiaro ad ognuno, tranne che a pochi superstiti maniaci, che i veicoli a motore sono nemici dei cittadini, e l’automobile è contro la citta”. Quirino Principe vede nell’auto l’apoteosi dell’industrialismo, del produttivismo e auspica un sistema in cui “la qualità prevalga sulla quantità e in cui l’economia non detti legge a tutto il resto”.
Auto e politica
Interessante, nell’antimoderno Quirino Principe, l’individuazione delle cause politiche della motorizzazione di massa: “L’automobile ha invaso la società prima in nome del liberalismo, poi soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, in nome della democrazia; e infatti, chi critica la forsennata motorizzazione che ha degradato l’Italia negli ultimi vent’anni viene spesso zittito come “fascista”, cioè come uno che vuole privare i proletari dell’auto e della libertà”.
In realtà le sinistre da sempre hanno avversato l’auto, in quanto mezzo privato. Negli anni ’60 e ’70 il PCI combatté una strenua battaglia contro la costruzione di autostrade che, a detta dei comunisti, toglieva risorse allo sviluppo della mobilità collettiva, come le ferrovie.
Negli ultimi due decenni è tuttavia ripresa la guerra alle auto, con la saldatura delle istanze di “poteri fortissimi”: le lobby ecologiste alleate con i residui delle sinistre comuniste e i mondialisti del World Economic Forum di Davos.
Auto e eco-comunisti
Le motivazioni dell’odio (perché di questo si tratta) degli eco-comunisti e delle cupole liberal-mondialiste e radical-chic e contro l’auto sono molteplici, non tutte dichiarate.
C’è un’eredità vetero-comunista: l’auto è un mezzo privato e in quanto tale da avversare in nome del collettivismo dell’esaltato mezzo pubblico.
E’ fonte borghese di individualismo e di libertà di movimento, quindi pericoloso per il totalitarismo rosso da loro auspicato.
Per i mondialisti di Davos (“non possiederete nulla e sarete felici”) la demonizzazione del mezzo privato è una parte del piano contro la proprietà privata (massime quella della casa), per la schiavizzazione di popoli, la riduzione dei cittadini (anche con la Grande sostituzione dei popoli) a meticci ebeti, consumatori senza storia e libertà, senza tradizioni e patrie.
A questa avversione vetero-comunista e dei ricchi padroni del mondo di Schwab e del World Economic Forum si è saldata la torva, fanatica esecrazione degli ecologisti (che, oltre a vandalizzare palazzi e opere d’arte, bloccano impunemente strade e autostrade senza che alcuno possa reagire seriamente: recentemente chi ci ha provato, è stato denunciato) fautori, in nome delle loro menzogne catastrofiste, di una terrificante decrescita che ci vorrebbe tutti regrediti allo stato trogloditico di cacciatori e raccoglitori.
Menzogne, come grida da anni il professor Franco Battaglia, recentemente anche con un appello titolato “L’emergenza climatica non esiste”, con lui sottoscritto da 1.500 scienziati di tutte le discipline di tutto il mondo, tra cui alcuni Premi Nobel.
Atti violenti
Non mancano preoccupanti atti violenti contro le auto da parte degli eco-comunisti. A Torino un gruppo vandalico che si firma “Collettivo della SUVversiva” ha sgonfiato le gomme di decine di Suv, lasciando un delirante e sgrammaticato messaggio ecologista. Molti si ricorderanno del gesto vandalico di un assessore (una femmina, ma il termine “assessora” ci ripugna) di sinistra del Comune di Milano che versò della vernice su una vettura in presunta sosta vietata.
Sempre a Milano, che ha in Italia il primato della delinquenza, per il sindaco eco-progressista Beppe Sala la priorità è la lotta alle odiate auto private.
Un diktat del Comune ha messo al bando dalla città una serie di auto considerate inquinanti, tra cui le Euro 5 diesel prodotte fino a pochissimi anni fa. Complessivamente l’iniquo provvedimento coinvolge, tra cittadini e pendolari, circa un milione di possessori di auto. Banditi da Milano come criminali.
Vane sono state le proteste di associazioni e gruppi di cittadini, mentre le opposizioni di centro destra si sono mosse tardivamente e molto debolmente. I
nutili piste ciclabili infestano le strade e i marciapiedi, togliendo spazio alla circolazione, ai parcheggi e ai pedoni. Gioiscono solo le sciurette radical-chic che scorrazzano svagate scampanellando sui marciapiedi (a loro è consentito tutto) sui loro bicicli con la Repubblica nel cestino.
Odio ideologico
Legambiente, nata come emanazione di ambienti comunisti (l’ARCI), ha il coraggio, con falsificante linguaggio orwelliano, di definire queste intrusive piste ciclabili “spazi democratici” per facilitare una “mobilità dolce”. Questo contro l’auto è un odio ideologico, perché gli sciagurati lock-down hanno dimostrato che anche con il blocco della circolazione non migliora la qualità dell’aria, ammesso che sia così inquinata come vanno predicando gli ambientalisti (comunque trent’anni fa lo era molto di più).
D’altronde il sindaco Sala lo ha dichiarato con faccia tosta: vuole ridurre il possesso delle auto del 20% in dieci anni e chiudere definitivamente il centro alle auto private.
Ovviamente Milano non è la sola città dove si è scatenata questa persecuzione del mezzo privato: in molte città (Roma, Bologna e Firenze, ma non solo) dominate dalla sinistra, ma qualche volta, purtroppo, anche dalla destra, le limitazioni alla libertà di movimento, le vessazioni contro gli automobilisti sono sempre più oppressive, intrusive, feroci, esempi concreti del “super-capitalismo della sorveglianza”: zone a traffico limitato (in sostanza vietato o quasi), registrazione delle targhe, pagamento di esorbitanti cifre per circolare in centro e nelle ZTL, imposizione dell’installazione sulle vetture di carissimi sistemi di controllo a distanza, tracciamenti degli spostamenti, limiti di chilometraggio nelle aree urbane, e non solo.
La zona 30
Poi il limite di velocità a 30 km orari, come quello imposto, praticamente in tutta la città, dal sindaco rosso di Bologna. Vane, e censurate dalla stampa, le molte, partecipatissime manifestazioni di protesta dei cittadini. Un sondaggio condotto dal quotidiano locale, Il Resto del Carlino, ha dimostrato che la trovata ecologista vede il 79% di bolognesi contrari. Un analogo sondaggio condotto tra gli artigiani ha certificato che la stragrande maggioranza è fermamente ostile al provvedimento.
Ma il sindaco di Bologna ha deciso di proseguire nella sua politica vessatoria. “Se ne faranno una ragione”, “si dovranno abituare”, così ha irriso ai suoi concittadini.
La schiavitù territoriale
L’ultima trovata è la famigerata “città dei 15 minuti”, ove i residenti non potranno spostarsi da una zona all’altra pena pesantissime multe. In sostanza, una nuova, tecnologica schiavitù territoriale. Ci stanno già provando a Oxford, la sta progettando a Parigi il sindaco di ultra-sinistra Anne Hidalgo, la stessa che con un referendum farsa ha triplicato i costi per il parcheggio dei SUV e a Londra il Mayor pachistano e della sinistra laburista Sadiq Khan.
A proposito di questo sindaco, già nel 2019 aveva introdotto radicali imposizioni ecologiste: le vetture immatricolate prima di una certa data devono pagare ben 15 sterline nel centro e 12,50 sterline al giorno in una neo-istituita Ultra Low Emission Zone di 1.500 chilometri quadrati, la più grande al mondo.
Ma i residenti si stanno ribellando: decine e decine di telecamere di sorveglianza sono state distrutte, ci sono state numerose manifestazioni contro il sindaco e, messaggio ancor più pericoloso, in un’elezione supplettiva in un collegio tradizionalmente laburista nella zona sud di Londra ha vinto, a sorpresa, un candidato conservatore ostile alla dittatura ambientalista.
Con la solita arroganza dei progressisti, il sindaco Sadiq Khan ha affermato con disprezzo: “Io sono dalla parte giusta della storia”.
Infatti la resistenza dei cittadini, a Londra e in altre città, non ferma i piani degli oligarchi di Davos e degli eco-terroristi: in un paperdel maggio 2023 pubblicato dal World Economic Forum (“The Urban Mobility Scorecard Tool”), si auspica, attraverso varie imposizioni e divieti, di ridurre il numero mondiale degli autoveicoli dagli attuali 1,45 miliardi a soli 500 milioni.
La truffa della mobilità elettrica
Sarebbe semplicemente la distruzione della proprietà privata dell’auto e della motorizzazione di massa. E viene svelata anche l’ipocrisia della truffa della “mobilità elettrica”: la riduzione dovrebbe riguardare tutte le auto, anche quelle elettriche.
Osserva infatti Gian Luca Pellegrini, direttore di Quattroruote: “L’imposizione dell’elettrico è una cortina fumogena che nasconde il vero obiettivo della rivoluzione dell’automotive, ovvero ridimensionare la mobilità privata.”
Conferma il sito cattolico-conservatore internazionale Lifesitenews: “E’ diventato evidente che le élite non elette del WEF e di altre organizzazioni globaliste non solo cercano di sostituire le auto a benzina e diesel con le auto elettriche, ma di ridurre radicalmente la proprietà di auto private in generale.”
Nell’ottimo, recente libro Per non morire al verde del giornalista Fabio Dragoni, che svela le trame e le menzogne ambientaliste, così leggiamo: “Sostituire le auto a benzina o diesel con auto elettriche è impossibile, a meno che non si vogliano togliere di mezzo le auto dalla circolazione. Cosa che è il vero obiettivo. Non nascosto ma dichiarato”.
D’altronde, un recente attacco di eco-terroristi ha preso di mira un deposito di Tesla vicino a Francoforte, incendiando decine di auto elettriche. Nella rivendicazione dei criminali green si legge che l’auto elettrica è solo “una cinica menzogna”: confermando così che la loro avversione è contro l’auto in generale, non importa se a combustione interna o a batteria.
L’Unione Europea
Per quanto ci riguarda più da vicino, la fonte primaria dell’infezione di questa bieca avversione all’auto privata è sempre la solita: l’Unione Europea.
Recentemente la baronessa Ursula Gertrud von der Leyen ha confermato la dittatoriale imposizione della commissione europea: dal 2035, unico caso al mondo, le autovetture con motore a combustione saranno vietate nell’Unione.
Una decisione sciagurata, totalmente ingiustificata da un punto di vista scientifico e tecnologico, un tragico “bagno di sangue”, come l’ex ministro Cingolani definì la transizione ecologica.
L’Unione perderà milioni di posti di lavoro (oggi sono quasi 13 milioni gli occupati nel settore dell’automotive): tra gli altri, 830.000 andranno persi in Germania, 500.000 in Italia. Nel nostro paese, all’avanguardia nella filiera della componentistica, andrà distrutto un know-how che il mondo ci invidia.
Il caso, recentissimo, della Magneti Marelli è solo un piccolo assaggio. E’ quella de-industrializzazione e de-civilizzazione auspicata nei pervertiti sogni degli ecologisti, un incubo per tutti noi.
Il flop delle auto elettriche
Nel frattempo, l’infatuazione (indotta dalla propaganda) dei consumatori per le auto elettriche sembra si stia raffreddando.
Un recente rapporto della società di consulenza Pwc ci dice che in Europa solo il 14,2% delle nuove immatricolazioni riguarda auto elettriche. In assoluto, queste rappresentano una quota marginale del totale delle vetture circolanti. In Italia, solo un 30% di potenziali acquirenti si dice interessato all’auto elettrica: prezzi stellari, mancanza di punti di ricarica, autonomia ridotta, maggiori rischi d’incendio (uno studio britannico invita a costruire parcheggi più spaziosi e posti auto ben distanziati per prevenire questi rischi). Non solo: appare assai significativo il fatto che 26 proprietari di auto elettriche su 100 intendono tornare, in caso di nuovi acquisti, a una motorizzazione tradizionale.
Finalmente la gente sta aprendo gli occhi
Gli ordini per le auto elettriche diminuiscono rispetto alla crescita degli ultimi anni: case automobilistiche come GM, Ford, Honda, Volkswagen, per ultima la Mercedes stanno attuando, o stanno pianificando, rallentamenti nella produzione. Significative le parole di Akio Toyoda, presidente del consiglio di amministrazione della Toyota, da sempre scettico sull’inevitabilità della transizione all’elettrico: “Finalmente la gente sta aprendo gli occhi”.
Cosa dimostra tutto ciò? Che certamente i poteri forti dominano e possono moltissimo: gli eco-catastrofisti di una indimostrata crisi climatica, gli oligarchi bramosi di un potere mondiale di Davos, i mondialisti immigrazionisti che voglio la riduzione delle popolazioni europee per favorire la Grande Sostituzione, gli oscuri burocrati di Bruxelles che governano senza legittimazione tramano tutti per una de-civilizzazione della nostra Europa, e la famigerata e falsificante “transizione ecologica” è una loro direttrice strategica.
Ma non possono tutto: possono ingannare molti per lungo tempo, ma non tutti per sempre. Ed è anche questo che ci dà speranza.
Antonio de Felip
Il 2diPicche lo puoi raggiungere
Attraverso la Community WhatsApp per commentare le notizie del giorno:
Unendoti al canale WhatsApp per non perdere neanche un articolo:
Preferisci Telegram? Nessun problema: