MES: passa la mozione di non ratifica del centrodestra – Niente riforma del MES, l’infausto Meccanismo Europeo di Stabilità, per ora.
La Camera ha infatti approvato una mozione del centrodestra che impegna il governo a ratificare l’attuale proposta di riforma del MES (come invece richiesto da PD e Terzo Polo).
Un fondo ammazzasovranità
Effettivamente l’infelice fondo europeo, finanziato con contributi degli Stati Membri e con emissioni di debito proprio, volto a cedere finanziamenti a paesi con difficoltà a sostenere il proprio debito pubblico, in cambio dell’applicazione di clausole di disciplina e consolidamento fiscale (tagli di spesa e aumenti della pressione fiscale), sembra decisamente fuori tempo massimo. Il MES riformato ad esempio continuava a far riferimento, per gli Stati prenditori di fondi ai parametri del Patto di Stabilità del 3% di deficit e del 60% di rapporto debito/pil, parametri ormai disattesi in maniera conclamata in praticamente tutta l’Eurozona e che perciò sono attualmente oggetto di riforma secondo la proposta di revisione del Patto di Stabilità della Commissione (proposta che presenta nuove e gravi criticità già affrontate da parte nostra).
Inoltre, del dibattito in aula, l’onorevole Bagnai ha correttamente fatto osservare che una delle ragioni d’essere originarie del MES ovvero la necessità di “chiudere gli spread” (cioè ridurre i differenziali tra i tassi d’interesse all’emissione di debito pubblico tra diversi paesi dell’eurozona), sia venuta meno da quest’estate con l’introduzione del TPI (Transmission Protection Instrument) da parte della BCE.
Uno strumento inutile e dannoso
In effetti Bagnai rivendica di aver predicato per anni non solo la pericolosità fiscale del MES (visto che l’utilizzo dei suoi fondi obbliga il paese contraente immediatamente ad ingaggiarsi in una austerità depressiva e prociclica, cedendo al tempo stesso la facoltà di governare il proprio bilancio ad un board esterno), ma anche la sostanziale inutilità ed inefficacia dello strumento nel perseguimento dei suoi obiettivi minimi di stabilizzazione dei tassi d’interesse e di sostenibilità del debito pubblico.
Questo perché solo l’autorità monetaria può ovviamente rivestire efficacemente agli occhi del mercato il ruolo di prestatore di ultima istanza, soprattutto per paesi i cui stock di debito sono quantitativamente cospicui.
Il Quantitative easing
Detto questo, la BCE, nel corso degli anni, scontrandosi contro i fatti è perciò sostanzialmente venuta meno al divieto, stabilito nei trattati, di finanziamento del debito pubblico degli Stati con i vari programmi di quantitative easing, approvato prima per reggere alla crisi del 2011 e del 2012 e poi per la crisi pandemica.
Oggi appunto con il TIP la BCE ha in un certo senso conclamato questa realtà, rendendola inoltre più dinamica, visto che i precedenti programmi di acquisto conservavano ancora automatismi per i quali la BCE comprava titoli essenzialmente di tutti gli Stati Membri, in maniera coordinata.
Con il TPI invece la BCE si da la facoltà di comprare titoli in maniera selettiva, di singoli Stati in condizione di necessità.
Tutto a posto quindi? Niente affatto e qui anzi ci dobbiamo anzi distanziare dall’ottimismo dell’onorevole Bagnai. Il TPI è sì uno strumento che tecnicamente può conseguire gli obiettivi prefissati ma ovviamente lo fa comunque con un certo costo politico.
Un tema di competenze
Ovvero la BCE valuta sostanzialmente in maniera autonoma la solidità finanziaria degli Stati, la loro aderenza ai criteri stabiliti nei trattati e negli accordi comunitari, il rispetto degli impegni presi in programmi come il PNRR etc…
Di fatto, in assenza ancora di una vera e propria unione politica e fiscale si trasferiscono questi poteri decisionali di vitale importanza ad un organismo tecnico ed autocefalo come la BCE, la quale diventa (ancor più di prima) padrona di vita e di morte degli Stati Membri.
A nostro avviso, quindi, fermare la ratifica di uno strumento datato come il MES non è sufficiente, servirebbe invece quantomeno un tentativo di cambio di tendenza per cercare di ritrasferire agli Stati nazionali sovranità e competenze che vengono sempre più alienati a questa o a quella autorità europea.