Meloni, la fragilità al governo – Sono passati più di tre mesi dal 25 settembre quando il centrodestra ha vinto le elezioni e almeno due da quando Giorgia Meloni ha formato il nuovo governo.
Sin dal primo momento il nuovo esecutivo è apparso fragile e costituito da personaggi di basso profilo politico.
Profili bassi
Basti pensare al ministro della cultura, ex direttore del TG2, che non ha grandi meriti intellettuali e ha ricevuto la nomina solo in virtù di equilibrismi propri del sistema liberaldemocratico. Che dire del ministro della Pubblica Istruzione e del Merito Valditara che, oltre ad una matrice finiana e a varie giravolte rocambolesche tra vari partiti, può vantare una manifesta complicità nella riforma Gelmini che nel 2008 falcidiò la scuola con tagli al personale e alle risorse.
Così pure il ministro per le politiche agricole Lollobrigida che di certo non ha le competenze necessarie per rilanciare un settore così importante soprattutto dopo lo stato di abbandono in cui lo avevano precipitato i governi del centrosinistra.
Non è solo questo il problema. A distanza di due mesi si possono senz’altro cogliere i primi segnali di una condotta politica che non mostra alcuna volontà di cambiamento rispetto agli esecutivi precedenti, sia in politica estera che in quella interna. Basti considerare lo sciagurato appoggio militare all’Ucraina attraverso la continua fornitura di armi, fatto questo che, oltre ad essere impopolare, allontana di fatto ogni possibilità di trattative di pace e mostra una cosciente sudditanza nei confronti degli Stati Uniti d’America che considerano e trattano l’Italia come una delle loro colonie più fedeli.
Il problema della guerra
Tutto il mondo sa che Zelenskij è solo un fantoccio e conduce una guerra per procura a tutela degli interessi americani in Europa e, mentre fior di intellettuali di diverso orientamento politico come Franco Cardini, Massimo Cacciari, Luciano Canfora, lo hanno denunciato senza mezze parole, solo Giorgia Meloni fa finta di non accorgersene, arrivando persino ad invitare Zelenskij in Italia.
La Meloni, nella sua militanza politica ha fatto di tutto tranne che approfondire la sua preparazione e poco sa o mostra di sapere della geopolitica del XXI secolo e delle sue implicazioni a livello economico, culturale e anche, perché no, spirituale. Il suo riconoscersi in un Occidente ormai vittima di una decadenza e di un degrado sempre più marcato, la dice lunga.
In Europa come Draghi
Così pure il suo voler restare incatenata all’Unione Europea che, anche dopo i recenti scandali, ha mostrato il suo vero volto e cioè quello di una organizzazione corrotta fondata sulle menzogne, i privilegi, gli interessi lobbistici e finanziari protetti da personaggi squalificati come Christine Lagarde, Ursula von der Leyen o Dimitri Avramopoulos.
Il cosiddetto Qatargate ha scoperchiato la cupola di una fitta trama di affari loschi e dannosi per i paesi del Vecchio Continente ed ancora tante sorprese attendono una opinione pubblica che sempre meno si riconosce negli apparati burocratici di Bruxelles.
Rispondere a quelli che di fronte al nostro atteggiamento critico ci dicono che è ancora presto per tracciare bilanci sulle politiche governative perché due mesi sono pochi, è facilissimo.
Innanzitutto, possiamo rilevare che il buon giorno di vede dal mattino e in questo scorcio di tempo, nulla è stato detto sulla necessità di rivedere i trattati internazionali, in primis quello di Maastricht che tanto ha penalizzato e penalizza la politica economica del nostro paese soprattutto nell’ambito del mercato del lavoro. Tutti ricordano l’imposizione delle quote latte, le multe agli agricoltori e la loro rivolta quando giunsero a versare sulla via Aurelia nei pressi di Maccarese ettolitri di latte in segno di protesta.
Il PNRR
Chi crede di risolvere i problemi della nostra economia con il PNRR si illude perché non si si tratta di un regalo ma di un prestito e l’Italia dovrà restituire alla BCE ben 122 miliardi di euro. Senza contare che l’Unione Europea metterà bocca nei nostri affari imponendoci come spendere quei soldi.
Errori e contraddizioni
Ugualmente il governo mostra di navigare nella confusione di una marea di contraddizioni. Pensiamo al tetto al contante, agli errori tecnici nella legge di bilancio, alla flat tax destinata solo ai lavoratori autonomi, vale a dire imprenditori e professionisti, alla riduzione del cuneo fiscale che resta un miraggio, alla confusione sulle pensioni che restano al palo e non vengono rivalutate a dovere; anche l’aumento delle pensioni minime a 600 solo per gli ultrasettantacinquenni non è altro che un palliativo di fronte all’aumento vertiginoso del costo della vita.
A questa situazione si aggiunge poi anche la accusa pesante ma verosimile di una sostanziale continuità con il governo Draghi.
Manca il coraggio
Per tali ragioni, come osservato più volte, non basta gioire per la sconfitta della sinistra. Il PD è ormai in via di estinzione da tempo e in mano ad una combriccola di teste vuote. La vittoria del centrodestra è stata facile in assenza di un solido avversario.
Quello che manca al governo Meloni è innanzi tutto un progetto organico, magari anche a lungo termine. In questo paese, noi lo andiamo dicendo da sempre, lo Stato va rifondato dalle fondamenta affrontando con coraggio e determinazione la questione morale, combattendo con ostinazione il potere stratificato delle lobbies, introducendo riforme serie e profonde tali da aprire davvero una fase nuova.
È anche, come dicevamo all’inizio, una questione di uomini di qualità, di personalità di spessore, di idee forti e, purtroppo per lei, Giorgia Meloni non ne dispone.