Meloni e Bce, la dura scelta tra Onore e Ossequio – La diligenza con cui Giorgia Meloni sta svolgendo i compiti finanziari e politici internazionali, in particolare sul fronte del sostegno all’Ucraina, sono stati senza meno premiati da Christine Lagarde, l’altra “dona di ferro” dell’attuale politica continentale, con quello che si fa fatica a non definire un ricatto. Un ricatto finalizzato a ottenere dal nostro Paese l’approvazione – contro ogni espressione sul merito della maggioranza parlamentare – della riforma del Mes.
Il ricatto
Un ricatto sviluppato con dichiarazioni e azioni che hanno già messo a dura prova, fin dalle prime battute, la solidità italiana sui mercati dei titoli sovrani. Giancarlo Giorgetti, Guido Crosetto e Matteo Salvini hanno risposto per le rime alla Lagarde, ma il silenzio della Meloni non fa ben sperare, circa la capacità di “resistenza” dell’Italia ai diktat di Bruxelles. E un segnale poco rassicurante viene anche da Montecitorio, dove il cervellotico “tetto del pos” è già sceso dagli iniziali 100 euro a 60 e ora si appresterebbe a essere abbassato a 30, con un ulteriore, secco dimezzamento. Così come esattamente dimezzato rispetto alle stesse direttive europee – 5 contro i 10 mila “accettabili” nel resto del Vecchio continente – sarebbe il limite all’utilizzo del contante.
Abiura del sovranismo
In altre, più semplici e dirette parole, sono i nodi che vengono al pettine: la Bce pretende – e lo pretende subito – un’abiura totale del “sovranismo” in ogni sua possibile declinazione e alla Meloni non resta che scegliere: fedeltà a se stessa, oppure “glorificazione” sull’altare della finanza internazionale. Non c’è bisogno di sottolineare come, in questa contrapposizione, l’interesse nazionale risieda nella coerenza con quanto sostenuto fino a oggi.
Segnali positivi
Non mancano, però, anche i segnali positivi, nelle dichiarazioni della Meloni e dei suoi alleati: la denuncia della moneta elettronica come strumento di debito forzoso a carico dei cittadini e a vantaggio del sistema privato delle banche da parte della premier; l’ipotesi di “nazionalizzazione” di una parte consistente del debito avanzata dalla Lega; sono segnali di una tensione verso il cambiamento e la discontinuità rispetto alla politica di quel Mario Monti che, oltre un decennio or sono, dette il via all’asservimento finanziario del Paese.
Saranno i fatti a contare
Però, di qui a poche settimane – se non pochi giorni -, saranno i fatti a contare: o si respinge l’approvazione della riforma del Mes e se ne chiede la riformulazione in sede comunitaria, oppure si calano le braghe – o si alza la gonna, poco importa – e si lascia alla Bce la libertà di abusare e violentare la gente a suo piacimento.
Lo “stile”della Banca europea
D’altro canto, è notorio il metodo di funzionamento e lo stile d’azione della Banca europea, ricalcati esattamente dal metodo e dallo stile della Bundesbank tedesca: un modello e uno stile – da sempre universalmente celebrati – di assoluta autonomia dell’autorità finanziaria massima dalla politica. Ma un modello e uno stile che furono imposti alla Germania, all’indomani della guerra – che è ancora tale, da un punto di vista giuridico, non essendo mai stato discusso e ratificato un “trattato di pace” tra tedeschi e potenze alleate -, al fine di renderne condizionabili la gestione degli affari interni ed esteri di quella nazione.
Modello da rivedere
Condizionabili, evidentemente, da Stati Uniti, Inghilterra e Francia, seppur in gradi diversi di intensità. Un modello e uno stile che andrebbero profondamente rivisti e rimessi in discussione, poiché, se la guerra è finita da quasi ottant’anni, è incredibile che esistano ancora lacci e laccioli che incatenino le nazioni sconfitte più o meno come al tempo in cui gli americani scorrazzavano con le Jeep per le strade distrutte dai loro bombardieri e i caffè si pagavano – cash, in quel caso – con le Am-Lire. La Meloni e il suo governo si orienteranno per una politica dell’onore o per quella dell’ossequio? Non bisognerà aspettare il giudizio dei posteri, per valutarlo, ma solo attendere le imminenti decisioni dell’esecutivo e della maggioranza che lo sostiene.