Meloni a testa in giù: ecco la violenza dei “buoni” – L’antifascismo, elevato da semplice negazione di un avversario a valore universale, diventa l’alibi della sinistra, moderata o radicale, per aggirare il principio democratico di pluralità di pensiero che porta a giustificare ogni azione moralmente deprecabile.
La Meloni nell’occhio del ciclone
Tocca al Presidente del Consiglio finire capovolto, pur non rappresentando quell’ideale fascista che le femministe contestano. Qualsiasi negazione ai capricci progressisti diventa Fascismo, qualsiasi difesa di questi deliri diventa antifascismo, collegamenti del tutto inesistenti con la storia di questi due concetti. “Non una di meno” passa dal diritto delle donne – come di ogni cittadino – alla sicurezza personale e sociale, all’odio viscerale verso chiunque sia accusato di patriarcato, fantasma morale elevato a mandante della violenza sulle donne.
Le femministe si strappano le vesti
Bisogna ricordare alle “signore” che il Fascismo è durato complessivamente meno di 23 anni, mentre il sistema nato dalla resistenza ne ha compiuti 77 quest’anno. Cosa è stato fatto in tutto questo tempo? E cosa stanno facendo i paladini democratici oltre ad abbaiare contro i cosplayer di Predappio?
L’alibi dell’antifascismo
Nulla, segno che il Fascismo diventa l’alibi dei fallimenti del sistema antifascista, che ci ricorda ogni 25 aprile di aver vinto – hanno vinto gli alleati non certo i compagni – ma che non riesce, o non vuole, risolvere i problemi sollevati dai nuovi partigiani. È il momento di sciogliere certe organizzazioni che seminano più odio che soluzioni e di dare mandato, per la difesa delle donne, a organizzazioni più efficaci e meno polarizzate, come Evita Peròn.