Analisi delle ambiguità di una potenza neoimperialista
Sono membri della Nato, anzi il partner strategico nello scacchiere asiatico con uno degli eserciti più numerosi, armati e devastanti al mondo (dopo le superpotenze Usa, Russia e Cina) ¸ con una influenza di nazione non solo su scala locale ma anche con ambizioni imperialiste a livello globale.
Sulla carta alleati, ma portatori di un disegno strategico assolutamente autonomo, spesso non coincidente, se non addirittura confliggente, con gli interessi Europei (e occidentali)
Stiamo parlando della Turchia, e per comprenderne ruolo, motivazioni e scelte nei nuovi conflitti, già esplosi o latenti, vale la pena spostare le lancette dell’orologio a qualche anno fa, ovvero all’inizio del revanscismo della Mezza Luna, iniziato e coltivato scientemente dal neo Sultano Erdogan.
Dopo il dissolvimento dell’impero Ottomano, e la progressiva laicizzazione dello stato ascrivibile ad Atatuk e al Kemalismo, questa grande nazione che fu capitale di Bisanzio e dell’Impero Romano di Oriente, ha assunto connotati al tempo stesso di impronta più marcatamente bellicose in salsa Sunnita e coltivato aggressive pulsioni, imperialiste, bellicose in un allarmante cocktail misto di propaganda politica, estremismo religioso, forza militare, spregiudicato espansionismo territoriale (più o meno scoperto e palesato).
Se Istanbul ha dei “meriti” indubitabili di pianificazione e lungimiranza a lunga gittata (nell’ottica dei propri interessi, ovviamente) quello che spicca su tutti è proprio l’abilità quasi silente di farsi strada e guadagnare spazi (fisici, strategici, potenziali) su numerose direttrici, a macchia di leopardo, con spregiudicata abilità nel tessere relazioni, politiche e militari, anche le più discutibili e inaccettabili.
Ambigua spregiudicatezza
Qualche acuto analista geopolitico, ad onor del vero, semi isolato ed inascoltato, ha da alcuni lustri tentato di sollecitare la attenzione pubblica sulle ambiguità e la spregiudicatezza di questo colosso Asiatico, in grado di giocare su più tavoli in contemporanea, tra Europa, Mondo Arabo e Nord Africa.
Se l’iniziativa nella creazione di una rete affaristico-mafiosa-religiosa fu pianificata da Al Qaeda, la Turchia ha pure avuto un ruolo fondamentale nel sostenere ed alimentare negli anni, quella che Lucio Caracciolo individuò come “dorsale verde” ovvero uno spazio geopolitico comune tra musulmani ex jugoslavi (bosniaci), kosovari ed albanesi nella regione balcanica, da usare come testa di ponte che parte da Ankara e arriva a Pristina per una islamizzazione radicale (di stampo sunnita) nel nostro continente.
Turchi vs Armeni
Vogliamo per un attimo lo sguardo a Est, nella martoriata regione del Nagorno Kaarabak, contesa tra Azeri (anche qui con la longa manus Turca) e Armeni (già vittime storiche, con la stessa mano insanguinata di uno sterminio nel primo ventennio del secolo XX, che anche gli storici più prudenti stimano tra le 5/600.000 vittime, ovvero più di une terzo della popolazione cristiana.
La Turchia è stata, insieme al Qatar, attivamente al centro della scena internazionale con un ruolo attivo in Libia a sostegno del sedicente Governo di Tripoli (GNA, per capirci, le milizie che gestiscono il traffico criminale dei migranti nel Mediterraneo, ina alleanza con ISIS, nella versione territoriale di Anṣār al-Sharīʿa), contrapposto all’area, supportata dai Russi, dalla parte del generale Haftar, ad ovest
In ognuno di questi teatri, l’attivismo di Ankara è da cogliere in un’ottica di attore regionale con proiezione globale che rivendica una propria centralità nel Mediterraneo. Ma il comune denominatore teleologico è non solo la volontà di affermare un ruolo di potenza, ma anche da fattori economici e dalla necessità di accrescere il consenso interno attorno al partito AKP.
>>> segue con aggiornamento SIRIA
Luca Armaroli
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