Lo strano equilibrio (o equilibrismo) di Giorgia
Giorgia Meloni “dixit”: l’unico presupposto perché si imponga la pace tra Russia e Ucraina è che si crei una perfetto equilibrio tra le forze in campo. Testuale, in Senato.
E anche condivisibile, se qualcuno, magari la stessa Meloni, definisse il concetto di “equilibrio”.
Dal punto di vista strettamente militare, infatti, l’Ucraina sarebbe già schiantata, se non avesse ricevuto una quantità di armi tale da svuotare – come hanno denunciato addirittura gli Stati Uniti – l’intero arsenale del paesi della Nato in Europa. Mosca non combatte contro Kiev che, ormai da settimane, se non da mesi, fornisce giusto la “carne da cannone” alla battaglia (anche se è ormai segreto di pulcinella come, oltre le armi, sotto la denominazione di “consiglieri”, si battano direttamente sul campo anche uomini degli eserciti della Ue).
Quale “equilibrio”?
Per tanto, questo “equilibrio” dovrebbe essere trovato tra Putin e Zelensky, oppure è questione che riguarda lo “zar” e, di fatto, “mister” Joe Biden? Difficile pensare che non si tratti della seconda ipotesi. Sotto il profilo territoriale, poi, se è retoricamente facile prendere applausi chiedendo: l’Ucraina si dovrebbe arrendere? È assolutamente puerile pensare che la Russia restituisca il Donbass e la Crimea. Quindi, dove starebbe l’equilibrio geografico possibile? L’integrità territoriale dell’Ucraina si può ottenere solo con una completa disfatta dei russi sul campo, disfatta che solo la Nato, per quanto travestita, può ottenere: quindi, l’equilibrio di cui parla la Meloni presuppone l’accettazione di un’escalation senza limiti del conflitto?
Le granitiche certezze
Speriamo che sia una delle tante “granitiche certezze” che la premier è assolutamente disposta a rimangiarsi o dimenticarsi al momento opportuno, come è suo costume fare da due anni a questa parte. Però, il problema resta: se non si fa la guerra vera contro Mosca, Odessa e le regioni annesse resteranno là dove sono oggi e, allora, non sarebbe intelligente, per quanto cinico, prendere atto della realtà che si è determinata sul campo e imporre ai contendenti di trattare, partendo da queste basi? Ancora: quanto deve e quanto può durare la ricerca di questo “equilibrio”? Deve durare fino a che la Russia crolli, costi quel che costi? Oppure, può durare solo fintanto che le nostre già esauste economie riescono a reggere le sforzo?
Chi si schianterà?
Perché, nel primo caso, il timore è che a schiantarsi, alla fine della fiera, sarà l’Europa e, “pro quota”, l’Italia; nel secondo caso – e per evitare il concretarsi del primo – bisognerebbe prendere atto di come il “può durare” sia già arrivato al limite. Poi, è chiaro, nel frattempo ci si può riempire la bocca – e ingolfare la stampa e l’informazione – con le suggestioni del piano-Mattei per l’Africa che, in un paese con 6 milioni di cittadini oltre la soglia della povertà è sicuramente una “priorità patriottica”, purché non ci si meravigli della crescente ebollizione delle piazze (dove le Sinistre giocano una partita sporca, ma prevedibile).
Fusion ignition
Oppure, prendere atto con soddisfazione delle “nuove scoperte” americane in materia di fusione nucleare, quella che donerà agli uomini e alle economie della Terra l’energia del sole, pulita, inesauribile e praticamente gratuita. Magari facendo finta di non aver ascoltato Kim Budin, la direttrice del laboratorio “Livermore” che – pur escludendo che occorrano 50 anni! – ha detto che, però… …qualche “decennio” sarà necessario, prima che la casalinga di Voghera possa attaccare il frullatore a una rete che porti elettricità da “fusion ignition”.
D’altronde, che problema ci potrebbe mai essere, a restare 30 o 40 anni in equilibrio?