Limiti culturali e genealogici della Destra meloniana – Il vero problema della destra italiana di oggi consiste nel non potere rivendicare le proprie radici. Con De Marsanich e il suo “non rinnegare non restaurare” il vecchio Msi aveva un “padre” – impresentabile, perfino esecrabile per qualcuno -, ma pur sempre padre: il Fascismo.
Negli anni ’70, nell’ansia e nella necessità di accreditarsi presso il sistema, nacque Democrazia nazionale che, con l’idea di un fronte comune al Comunismo, si aprì all’idea liberale. Il progressivo impoverimento ideologico trovò un punto di caduta (nel senso più letterale del termine) nell’era Berlusconi/Fini, quando la Destra si “sciolse” nel Popolo delle libertà e Fini con il suo “Fascismo male assoluto”, definitivamente rinnegò le radici culturali e storiche tradizionali.
Cosa c’era in quelle radici culturali
Cosa c’era in quelle radici culturali, in quella tradizione? In quel 1919 – come scrivono Del Boca e Belpietro: La marcia su Roma – “in quella prima riunione che si tenne il 23 marzo 1919 in Piazza San Sepolcro a Milano proposero il suffragio universale […] ipotizzarono l’avvento di una repubblica, immaginarono l’abolizione della leva obbligatoria che per le famiglie più povere significava privarsi per anni di due braccia per il lavoro, suggerirono la giornata di lavoro di otto ore (quando ancora il lavoro nei campi e nelle fabbriche andava dall’alba al tramonto), azzardarono la partecipazione dei dipendenti agli utili dell’impresa, i consigli di fabbrica, le libertà civili e politiche, la parità dei sessi”.
Insomma, il partito fascista non era certo catalogabile come un progetto conservatore e, anzi, il direttore del Popolo d’Italia, che provocava il trasloco di mezza sinistra nella casa del fascio, non era certo un conservatore ma un classico rivoluzionario.
Una transizione verso il nulla
Rinnegando il “padre” o, meglio: i “padri”, la destra italiana si condanna a una transizione culturale ed ideologica verso il nulla, oppure verso la ricerca di una “paternità surrogata”. Su questa difficile strada, la destra diventa improvvisamente “fluida” e svolta per la scorciatoia di “una maternità surrogata” liberal-democratica-conservatrice.
Poi, si sa: “mater semper certa est, pater nunquam!” e, quindi, una mamma pur che sia è certamente meglio di un padre impresentabile ed ingombrante.
E così nasce Giorgia Meloni, coi suoi Fratelli d’Italia: i conservatori italiani o, meglio, i neoconservatori italiani. D’altra parte, la stessa Meloni è presidente dei Conservatori europei: membro dell’Aspen; cita, nel suo discorso iniziale in Parlamento, come suoi riferimenti culturali, Montesquieu; Steve Jobs (icona del progresso atlantico, della modernità e dell’individualismo liberista ) e Roger Scruton, poliedrico intellettuale inglese simbolo “contemporaneo” del conservatorismo anglosassone, che sebbene sia una contradizione parlare di conservatorismo liberale, viene indicato, e criticato, per aver coniugato conservatorismo e liberismo.
I “maestri” di Giorgia
Ancora, in tema di riferimenti culturali della destra capeggiata dalla Meloni, non è possibile sorvolare sugli autori citati nel suo “Io sono Giorgia” ed elevati al rango di maestri del pensiero di destra: Tolkien ed Ende, campioni della letteratura “fantastica” per ragazzi. Ora, che il certo autorevole imprenditore americano e gli altrettanto autorevoli autori di letteratura fantastica per ragazzi, uniti a un intellettuale conservatore inglese, possano costituire il sostrato culturale ed ideologico della nuova destra italiana francamente è incomprensibile e certamente illogico. Saltare da Evola a Tolkien, è come farsi interpretare l’esoterismo del primo da Walt Disney, mentre rivolgersi al conservatorismo anglosassone, così lontano da noi, significa ignorare – uno per tutti – Prezzolini.
Al congresso dei conservatori americani
La Meloni, nel febbraio del 2022 parlò, per la seconda volta, al congresso dei conservatori americani, definendo FdI un partito conservatore, citando peraltro come suo “maestro” Chesterton, l’autore di “Padre Brown “, per altro accusato di antisemitismo e fiero oppositore delle “ suffragette” e assolutamente contrario alla concessione del voto alle donne: un po’ strano come “nume tutelare” della donna-leader dei conservatori italiani.
Se poi consideriamo la professione – dura, senza esitazioni o elementi critici – di fedeltà assoluta allo schieramento atlantico, a questa Nato post-caduta del “Muro” , post guerra fredda, alla mitologia di Zelenski, la Meloni si iscrive di diritto nel “genere” “neoconservatori” di stampo Usa, il cui autore di riferimento non è certamente Alain de Benoist.
“Dio, Patria e Famiglia”
Va da sé, allora, che non possa che crescere il numero di quelli che Marcello Veneziani definisce “patrioti scontenti, quelli consapevoli di come non basti certo appellarsi al mazziniano “Dio, Patria e Famiglia” per qualificarsi di Destra.
Senza disconoscere i meriti personali della Meloni, anzi, bisognerà pur rilevare come la “necessità” di nascondere la paternità di cui sopra, per reinventarsi una destra che sfugga alla narrazione fascismo/antifascismo, sia comprensibile, non giustifichi, però, l’approdo ad un conservatorismo straniero, estraneo alla nostra cultura; quando sarebbe stato ed è possibile dirigersi verso una destra “sociale” che – a livello filosofico, culturale, ideologicamente fondante – già esiste in Italia ed è anche apprezzata, stimata e rispettata persino, se non soprattutto, dalla sinistra.
Un pensiero autonomo
Una destra che è riuscita a rifondare un “pensiero” autonoma e inattaccabile da quella narrazione “ad escludendum” fascismo-antifascismo. Il riferimento è a Marcello Veneziani, ovviamente, il quale colloquia da sempre, rispettato e perfino adulato, con la cultura di sinistra senza paradossalmente ricevere consensi dalla politica che sostiene di rappresentare la destra.
Una “terza via“ oggi esiste: perché non imboccarla?
di Giovanni Preziosa