Le Riforme con la Costituente – Stendendo un velo pietoso su Guido Crosetto che, in Parlamento, tenta di smorzare le polemiche, sostenendo di essere stato capito male, quando avrebbe criticato una certa “fazione” della magistratura, bisognerà preparare un lenzuolone anche per i salviniani.
Se il primo, infatti, spera di cavarsela accusando i giornalisti e i lettori per aver male interpretato le sue – invece, chiarissime – parole; lascia di stucco il semplicismo della Lega che annuncia come la riforma della giustizia la faranno insieme magistrati e avvocati. “More solito”, qualcuno non perde occasioni per manifestare le proprie lacune culturali, dimenticandosi come le due differenti categorie di “operatori del Diritto” hanno in comune essenzialmente un aspetto: l’esser stati allievi dei “maestri della Giurisprudenza”, dei docenti e degli “scienziati” della Legge.
Le Università di Giurisprudenza
Nell’Università italiana, per altro, le facoltà di Giurisprudenza abbondano, forse sono anche troppe, ma sicuramente vantano teorici di altissimo valore e di incommensurabile esperienza. Il più delle volte, i professori esercitano anche “il mestiere”, ma a un livello mediamente più alto, rispetto ai loro colleghi esclusivamente impegnati nei rispettivi o negli altrui studi legali.
E, per lo più, per la gran parte di loro la frequentazione delle aule di tribunale o la pratica sono necessario complemento e verifica di quanto si va teorizzando nelle varie scuole.
A questa categoria, prima che ad altre, andrebbe dato il compito di dare vita a una riforma della Giustizia, raccomandando loro di non tener presenti – non si dice “da conto, ma anche solo “presenti” – gli interessi corporativi dei togati – siano avvocati o giudici a indossare la tipica mantellina – e delle varie categorie di magistrati (inquirenti, giudicanti, ecc.).
Se al governo ci fosse la Dc, gli italiani si accontenterebbero di certo di un “riformismo consociativo” delle istituzioni che amministrano il Diritto in Italia; idem se ci fosse il Centrosinistra (riedizione un po’ più “hard-left” del peggiore moroteismo): se l’ottimo è impensabile, ci si accontenta sempre del possibile.
Dalla Destra, invece, i cittadini e gli elettori hanno il diritto di pretendere una rivoluzione vera e propria che restituisca disciplina ed efficienza a un’istituzione che strilla sempre in difesa della propria autonomia, dimenticandosi che il pilastro di quella stessa autonomia è l’imparzialità. Imparzialità di cui la magistratura italiana difetta di sovente.
Pensare di poter attendere a una tale impresa col consenso di chi per forza di cose dovrebbe fare notevoli passi indietro, è a dir poco puerile.
Le riforme senza paura
Farlo con gli avvocati, poi, sarebbe potenzialmente controproducente proprio per quei legali che decidessero di impegnarvisi, in quanto, istantaneamente, le loro qualità professionali verrebbero posposte alla loro scelta partitica.
D’altro canto, i problemi che si stanno incontrando nella riforma della giustizia sono gli stessi che, tra poco, Giorgia Meloni incontrerà, se e quando metterà sul serio in cantiere il così detto “premierato”.
Anche in quel caso, un eventuale – e per certi versi annunciato – risultato modesto sarebbe essenzialmente il frutto di un’altra “timidezza” o “paura”: quella di convocare un’Assemblea nazionale “ad hoc”, cioè, una Costituente.
Da lustri e lustri, ogni qual volta una fase costituente ha esaurito malamente il suo tempo, c’è stato chi ha indicato in questo fatto – nel non aver chiamato il popolo non a ratificare una scelta del Parlamento, ma a eleggere un consesso col compito di redigere un nuovo patto costituzionale – il “peccato originale” delle varie iniziative.
Un’opportunità da cogliere
Perché mai la Destra di governo non coglie l’opportunità e l’occasione per colmare questo vuoto, affidando a un consesso di eletti – ed “eletti” in tutti i sensi: perché votati dal corpo elettorale e perché scelti tra candidati che hanno nelle loro facoltà intellettuali e scientifiche il loro maggior titolo di candidabilità – l’altissimo incarico di riscrivere le “regole del gioco” democratico, senza la preoccupazione di soddisfare questa o quella necessità contingente di chi governa o di chi sta all’opposizione?
Se tutti concordano sul fatto che la “sovranità appartenga al popolo”, si metta il popolo al centro del processo di innovazione della Giustizia e delle altre istituzioni, così nessuno potrà strillare, da destra o da sinistra, alla deriva antidemocratica.
Sempre che non si pensi che la democrazia non sia qualcosa che interessi e riguardi il popolo, come spesso par di capire, ascoltando i politici degli ultimi tempi.
Massimiliano Mazzanti
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