Le quattro giornate di Trieste – Anno 1953 – 3 novembre – Trieste è imbandierata per la festa di San Giusto. Il generale Winterton, comandante delle forze alleate per la Zona A, dà ordine di far ammainare il vessillo tricolore che sventola sul pennone del Palazzo Municipale. I triestini affrontano la polizia: Venti di loro riportano gravi ferite e sedici dimostranti vengono tratti in arresto.
4 novembre
Nel pomeriggio di oggi un gruppo di duecento giovani, reduci dalle manifestazioni di Redipuglia, si dirigono cantando l’inno di Mameli verso piazza dell’Unità dove si raccoglie una folla immensa che chiede a gran voce l’esposizione della bandiera. La polizia, agli ordini del maggiore Carragher, carica la folla e tutte le bandiere vengono strappate dalle mani dei dimostranti e tolte dalle finestre. I marxisti italiani scrivono che si trattava di una folla di fascisti.
5 novembre
A Trieste si scontrano di nuovo i triestini e la polizia alleata, che entra persino nella chiesa di S.Antonio dove alcuni giovani vengono feriti. Durante la cerimonia di riconsacrazione del tempio, cui partecipano tremila cittadini, i poliziotti comandati dal maggiore inglese Williams caricano la folla quando esce dalla chiesa e sparano all’impazzata uccidendo due triestini e ferendone una trentina. Persino la Camera del lavoro insorge e proclama uno sciopero di ventiquattro ore, ma i fogli marxisti continuano a far intendere che se i fascisti non provocassero, queste cose non accadrebbero.
6 novembre
Si rinnovano a Trieste le manifestazioni di protesta contro i sanguinosi fatti dei giorni scorsi. Negli scontri di oggi vengono uccisi cinque giovani e feriti cento cittadini. Per questa città che vuole tornare alla Madre Patria sono morti in questi due giorni: Pietro Addobbati, studente di 15 anni; Antonio Zavadin, marittimo di 61 anni; Francesco Paglia, universitario di 24 anni; Saverio Montano, operaio di 52 anni; Leonardo Manzi, studente di 15 anni ed Erminio Bassa, impiegato di 51 anni.
Si è sparato sui dimostranti
Il professor Tagliaferro, primario dell’ospedale maggiore di Trieste, ha dichiarato: “Il tipo delle ferite, tutte in sezioni del corpo che vanno dal cuore al basso ventre, permette di assodare che non si è sparato alto, ma direttamente, sui dimostranti”.
Finalmente tutti i giornali sono d’accordo nel deprecare questi delitti, ma a piangere sono soltanto gli italiani, quelli veri, quelli che considerano l’Italia la loro patria e non quelli la cui patria è l’America, la Russia, l’Inghilterra o il cielo.
Tratto da “IL VENTENNIO DELLA PACCHIA” Ed.Il Borghese, Milano 1971 (a cura di Gianna Preda e Mario Tedeschi)