LAOGAI cinesi: l’occidente ipocrita chiude gli occhi – Pecunia non olet. Mai come oggi questo antico detto latino risulta attuale.
Di fronte alla possibilità di concludere affari fruttuosi vi è chi è disposto a passare sopra a molte situazioni “indigeste”.
Il solito occidente ipocrita
Nel mondo occidentale è un continuo parlare di diritti umani e diritti civili. Si arriva a mettere la censura alle parole escludendo dal “politicamente corretto” quelle che anche lontanamente possono sembrare lesive specialmente di chi appartiene a qualche “gruppo protetto”.
Poi, però, quando si tratta di stringere rapporti economici con stati che non rispettano i più elementari diritti delle persone ci si dimentica, ipocritamente, delle belle idealità sbandierate in ogni occasione in casa propria, dove non costa niente…anzi.
Certo ci sono delle nazioni verso cui è stato attuato qualche embargo: Corea del Nord, Sudan, Sierra Leone, Mali, Cuba, Iran, e, ultimamente la Russia, che, però, ha motivazioni e condizionamenti che richiederebbero un’ analisi più articolata e approfondita che esula dal tema qui trattato.
Ma la Cina no
Ma non risulta che si siano interrotti i rapporti commerciali con la Cina o che si siano solo minacciate sanzioni di qualche tipo nei confronti di Pechino.
Sarebbe decisamente più problematico che con la Sierra Leone o il Mali. E allora si è disposti a passare sopra a qualche “piccolo dettaglio”.
La stragrande maggioranza degli abitanti dell’opulento mondo occidentale ignora la condizione disumana in cui vivono milioni di cinesi. Perseguitati, torturati, assassinati solo perché non condividono le idee ed i programmi di un regime che è riuscito a sopravvivere al crollo del comunismo avendo sottoscritto un patto satanico con un capitalismo selvaggio che consente al regime di Pechino di tenere soggiogati un miliardo e quattrocento milioni di cittadini.
LAOGAI
In Cina sono tuttora operanti i LAOGAI, sigla ricavata da “LAOdong GAIzao dui” che significa “Riforma attraverso il lavoro”. Furono inaugurati nel 1950 da Mao Zedong e sono ancora lì. I Lager nazisti furono chiusi nel 1945, i Gulag russi sono in disuso dagli anni ‘90. I LAOGAI sono ancora lì.
Ogni LAOGAI ha due nomi. Uno come campo di concentramento/prigione e uno come impresa commerciale. Forniscono una enorme forza lavoro a costo zero. Milioni di persone sono costrette al lavoro forzato a vantaggio del regime e di numerose multinazionali che investono e producono in Cina. Nei LAOGAI lavorano e soffrono credenti di tutte le religioni, oppositori politici e criminali comuni. L’orario di lavoro arriva fino a 16 ore al giorno.
Sicurezza ed igiene non esistono. Il cibo è inadeguato, la fame è la continua compagna del detenuto. Pestaggi e torture sono all’ordine del giorno.
La peculiarità del sistema LAOGAI è il sistematico lavaggio del cervello del detenuto ottenuto mediante l’indottrinamento politico e l’autocritica. Ogni giorno, dopo le lunghe ore di lavoro forzato, vengono tenute “lezioni d studio”. L’autocritica, invece, ha luogo davanti ai sorveglianti ed agli altri detenuti ed è finalizzata a “riformare” la personalità di chi si auto-accusa per diventare una nuova persona socialista. È necessario dimostrare con i fatti la propria lealtà al Partito spesso denunciando parenti e amici.
La testimonianza di Harry Wu
Anni fa ebbi l’occasione di conoscere personalmente un uomo che ha vissuto per 19 anni nei LAOGAI: Harry WU. Ho ascoltato dalla sua voce il racconto di quella drammatica esperienza e ne conservo ancora il ricordo. Vi è, poi, la questione religiosa.
Ufficialmente, la Cina comunista riconosce cinque religioni organizzate (Buddismo, Taoismo, Cattolicesimo, Protestantesimo e Islam). Lo Stato richiede che tutte le attività religiose siano rigorosamente controllate dalle istituzioni religiose ufficiali e in conformità alle leggi cinesi.
Cina e religione
Nel dicembre 2021 il regime cinese ha costretto un gruppo di monaci e fedeli tibetani ad assistere alla demolizione di una statua di Budda alta quasi 12 metri situata nel tempio di Thoesam Gatsel. Nel gennaio 2022 undici di questi monaci sono stati picchiati e arrestati dalle autorità cinesi per aver diffuso la notizia dell’accaduto e, perciò, inviati nei campi di lavoro della regione.
L’agenzia Eglises d’Asie afferma, “le repressioni contro religioni e gruppi religiosi in Cina sono aumentate da quando Xi Jinping è salito al potere nel 2013. Sotto la sua presidenza, il Pcc ha adottato dure politiche volte a intensificare la repressione delle religioni». Tutto questo viene giustificato nell’ottica della “politica di sinicizzazione” delle religioni, un’ideologia che, col pretesto di valorizzare identità e tradizioni cinesi, di fatto mira a imporre regole rigide alle realtà religiose cinesi secondo i valori-chiave del Partito comunista.
Sempre l’agenzia Eglises d’Asie riferisce dell’uscita di un nuovo libro sull’ateismo: “I principi dell’ateismo scientifico”, promosso dal governo cinese e destinato alle scuole e ai quadri del Partito Comunista Cinese (Pcc). L’autore del manuale è Li Shen, un docente di 76 anni, che ricopre la carica di vicepresidente della Società cinese di ateismo. Il testo fa sua una teoria del presidente Xi Jinping secondo cui la cultura cinese non è mai stata religiosa, oltre a riprendere pedissequamente le posizioni di Marx, sostenitore dell’ateismo scientifico.
Con queste premesse quali possono essere gli effetti dell’accordo Provvisorio stipulato nel 2018 tra Vaticano e governo cinese?
La posizione della Chiesa
Un esperto sinologo quale padre Gianni Criveller del Pime, commentando la frase di Papa Francesco “quello della Cina non è un terreno facile […] si può essere ingannati nel dialogo, si possono compiere degli errori” scriveva il 2 settembre 2021 su AsiaNews: “Tale espressione di Bergoglio sembra essere un’ammissione rispetto a parole del passato che sottolineavano solo la grandezza della civiltà cinese. Il fatto che il Papa stesso ammetta questa possibilità mostra che egli ha presente la situazione sul campo. Ha preso nota delle tante voci preoccupate che in questi anni si sono levate dalla Cina e da chi segue la vicenda delle comunità cattoliche di quel Paese”.
Nello scorso mese di novembre il Vaticano ha espresso “sorpresa e rammarico” per la notizia della nomina di Monsignor Giovanni Peng Weizhao a vescovo di Yujiang, una diocesi non riconosciuta dalla Santa Sede. Secondo la chiesa di Roma la nomina viola l’Accordo Provvisorio stipulato con Pechino, che dà al Papa potere di veto sulla nomina dei vescovi cinesi. Un accordo che vorrebbe tentare di risolvere le questioni spinose tra le due parti. In Cina per decenni hanno convissuto la Chiesa cattolica ufficiale, in accordo con quelle che Xi ha definito “teorie religiose socialiste con caratteristiche cinesi”, e quella clandestina che rimane fedele a Roma, spesso a rischio di repressione (ad oggi sono ancora 20 i vescovi considerati “clandestini”).
L’accordo è stato prorogato lo scorso ottobre malgrado le tensioni per l’arresto a inizio anno di Joseph Zen, ex vescovo di Hong Kong. Sarebbe bene che queste notizie avessero un risalto maggiore sulla grande stampa di informazione…o almeno comparissero. Ma forse sarebbero di troppo disturbo per il manovratore.