La taranta e la cultura identitaria – Ormai, grazie anche alle messe in onda della RAI, tutti sanno che la Notte della Taranta è uno degli eventi musicali più importanti dell’anno. Pochi invece sanno come è nata e quanto e come essa sia espressione di una cultura antica e profonda, legata a una terra, la penisola salentina, ricca di leggende, superstizioni, racconti di magia ed eventi esoterici. È a partire dai primi anni Novanta che nel Salento ha ripreso quota in maniera poderosa la musica della pizzica e della taranta.
Una tradizione antica
Da allora in poi è stato tutto un fiorire di gruppi e anche di cantanti solisti che hanno rinverdito antiche ballate popolari e tradizionali, nate tra i contadini nelle campagne tra gli ulivi e le viti, dando luogo a un fuoco di fila di spettacoli nelle piazze dei paesi che, se da un lato hanno attratto una marea di turisti, hanno risvegliato dall’altro un forte sentimento identitario salentino che, se pure già esistente, ha acquistato un’ulteriore valenza. Officina Zoè, i Tamburellisti di Torre Paduli, i Calanti, i Briganti di Terra d’Otranto, Alla Bua, Terrarossa, gruppi formatisi tutti negli ultimi vent’anni, con i loro concerti non solo si sono affermati nella loro zona d’origine, la Puglia meridionale, ma hanno contribuito a far conoscere l’anima salentina in tutta l’Italia e anche fuori dalla penisola.
Storia e musica intrecciate
Lo stesso va detto di cantanti come Antonio Castrignanò, originario di Galatina, o di Antonio Amato, di Diso, che ha voluto sintetizzare il suo progetto musicale “Antonio Amato Ensemble” nel motto “il futuro del passato”, o ancora di Cinzia Villani, collaboratrice del Canzoniere Grecanico Salentino, che ha dedicato la sua vita alla ricerca della memoria sonora e corporea del territorio, lavoro meritorio che le ha valso l’epiteto de “la Voce del Salento”.
Una sequela di successi musicali ha dato luogo alla già menzionata nascita della “Notte della Taranta”, evento che quest’anno ha celebrato la sua venticinquesima edizione e che può considerarsi a ragione una delle più importanti manifestazioni canore italiane ed europee in fatto di musica popolare con le sue oltre 150.000 presenze. Un discorso a parte meriterebbero poi personaggi come Pino Zimba, di Aradeo scomparso prematuramente nel 2008 e Uccio Aloisi di Cutrofiano, scomparso nel 2010, veri e propri aedi della Grecia salentina, assurti a veri e propri miti della pizzica tarantata, protagonisti di film come Sangue vivo sul morso della taranta e Craj (pronunciato Crè) che significa domani, un documentario incentrato sulla vita, le tradizioni, le superstizioni, le ballate del popolo salentino.
Riscoprire le nostre radici
È un fatto che la musica della pizzica con il suo ritmo binario, con i battiti del tamburello e dei suoi sonagli, spesso accompagnata dall’organetto e qualche volta dal violino, ha dato il via ad un’autentica rivoluzione culturale che affonda le sue radici nella riscoperta e nella valorizzazione dell’identità radicata nel sangue e nel suolo.
L’attacco globalista
Un fenomeno inaspettato che ha spaventato di certo gli ascari del cosmopolitismo e del villaggio globale che sono corsi ai ripari, ma che rappresenta un vero e proprio urlo, l’urlo di chi vuole ribellarsi alla omologazione dei popoli, in nome di una diversità che è ricchezza, la vera ricchezza di una umanità che vuole conservare intatte culture, lingue, tradizioni, valori, visioni del mondo a dispetto di ogni appiattimento e confusione.
Emblematico quanto ha scritto in proposito Maddalena De Amicis: “Il trionfo dell’orgoglio salentino, un’appartenenza declinata in tutte le sue forme e che fa dell’amore per la propria terra, il vero brand, la ricetta vincente che sfida ogni legge del mercato, non una moda o un bieco tentativo di vendere qualcosa al malcapitato turista di passaggio ma precisa volontà di condividere, di far conoscere la propria terra. Un autentico movimento che parte dal basso e coinvolge tutti e tutto, fa rete nel comunicare la storia, il cibo, l’arte, la musica e la cultura”.
Parole queste che inducono a riflettere e che non mancano di aprire prospettive che nemmeno i cantori salentini riescono forse ancora ad immaginarsi. Terra, musica, cultura, arte, cibo, storia, sono tutti ingredienti fondamentali di una visione del mondo basata sull’orgoglio del proprio modo di essere e di pensare, sul senso di appartenenza che fa breccia nel cuore delle popolazioni proprio nei loro strati più umili.
Come nasce la taranta
Di qui l’esigenza di approfondire il problema e di indagarne a fondo le radici. Dove nasce dunque il tarantismo? Il tarantismo è un fenomeno antico, riconducibile alla città di Taranto: “Per risalirne alle origini bisogna guardare al Tardo Medioevo e agli albori del Rinascimento dove ha lasciato tracce in abbondanza.”
Ricorda in proposito Giovanni Maimone in un bell’articolo sull’argomento Un’antica testimonianza della seconda metà del Cinquecento è fornita da Nicolas Audebert, poeta francese, ricco borghese d’Orleans, che scrive: “La Tarantola è più comune in Puglia che in nessun’altra località e principalmente dalle parti della città di Taranto, donde ha preso il nome, perché durante tutta l’estate nei campi ce ne sono un’infinità.”
Il trattato De venenis, del fiorentino Cristoforo degli Onesti (secolo XIV), contiene il capitolo De morsu tarantulae in cui si menziona il tarantismo come sindrome da avvelenamento dovuta al morso di un animale. Nel Seicento il tedesco Kircher scriveva: “alcuni corrono, altri, ridono, altri piangono, altri dormono o soffrono d’insonnia, (…) tutti sono presi da frenesia, sono furiosi, sembrano impazziti”. Ferdinando I ebbe a dire più tardi: “Mostrano i genitali, si strappano i capelli, si lanciano in mare”.
Il morso del ragno
Tutto ruota intorno al morso di un ragno, la tarantola, che secondo una interpretazione mitologica sarebbe la reincarnazione di una ragazza morta in circostanze tragiche.
Un morso velenoso che sembrava provocare una frenesia inarrestabile, uno stato di eccitazione magica guaribile soltanto nell’abbandono ad un ballo altrettanto frenetico, incessante, maniacale, la taranta appunto, accompagnato dal ritmo assordante e coinvolgente del tamburello. Al di là delle credenze popolari che attribuiscono poi a San Paolo,“Santu Paulu delle tarante”, il merito di avere donato agli abitanti della città di Galatina, l’acqua benedetta capace di “esorcizzare” gli “avvelenati”, leggende delle quali non si saprà mai la verità, è un fatto che il ballo della pizzica con la sua massiccia diffusione in tutti i paesi e le città salentine, ma anche nella zona di Massafra, paese tarantino, noto centro esoterico, pare il maggiore dopo Torino, ha rinverdito il culto delle tradizioni e l’amore per il territorio.
I tarantati, morsi dal ragno trovavano infatti sollievo e a volte guarigione, grazie all’intervento dei musicanti, anche ben pagati dai familiari delle vittime del ragno, che li sollecitavano ad un ballo liberatorio E non è solo una questione di musica.
Il significato profondo della taranta
De Martino, uno dei più grandi etnologi italiani, ricercatore di grande spessore, ha scritto: “Il simbolo della taranta comporta un ethos, cioè una mediata volontà di storia, un progetto di “vita insieme”, un impegno a uscire dall’isolamento nevrotico per partecipare a un sistema di fedeltà culturali. Un ethos che qualifica il tarantismo come “religione del rimorso” e come “terra del rimorso” la molto piccola area del nostro pianeta in cui questa religione “minore” vide per alcuni secoli il suo giorno”.
Chi volesse approfondire il fenomeno del tarantismo e le sue implicazioni antropologiche, ha a disposizione l’ottimo saggio “La terra del rimorso”, contributo ad una storia religiosa del Sud, di cui è autore appunto Ernesto De Martino, edito da Il Saggiatore, che costituisce in questo campo un vero e proprio pilastro.
Nicola Cospito