La piaga dei crimini minorili – Transcrime Research, un’organizzazione che fa capo all’Università del Sacro Cuore di Milano e che si occupa di criminalità, ha tracciato una mappa sui minori denunciati o arrestati.
Secondo il rapporto della Direzione centrale della Polizia criminale di fine anno, nei primi 10 mesi del 2022 c’è stato un aumento del 14,3% del numero di minori denunciati e arrestati rispetto allo stesso periodo del 2019.
In crescita del 35% gli omicidi commessi dai minori, tentati omicidi +65,1%, lesioni dolose +33,8%, percosse +50%, rapine +75,3%, con un +91,2% per quanto riguarda quelle commesse nella pubblica via.
Il fenomeno delle bande minorili
Risse, percosse, lesioni, bullismo, atti vandalici, ma anche spaccio, furti e rapine sono i crimini di cui si macchiano i giovani minorenni, in grandissima parte membri di gang presenti nella maggior parte delle regioni italiane.
I social sono lo strumento con cui si danno appuntamento e dove documentano poi i loro atti criminali.
Secondo un recente studio esplorativo dal titolo Gang giovanili in Italia (di cui si è parlato alla Conferenza stampa di fine anno della Direzione centrale della polizia criminale), metà degli Uffici di Servizio Sociale per i minorenni (USSM) e il 46% delle questure e dei comandi provinciali dei Carabinieri indicano nel rapporto che negli ultimi cinque anni le gang giovanili sono aumentate.
Un fenomeno acutizzato anche dalla pandemia da Covid che ha fatto degenerare le condizioni di marginalità, disagio psicologico e socio-economico in cui versa un numero elevato di giovani.
Nel 2021 sono stati 186 gli appartenenti alle gang giovanili presi in carico dagli USSM, in forte aumento rispetto ai 79 del 2020 (anno del lockdown) ma anche ai 107 del 2019.
Marginalità, solitudine e violenza gratuita
L’aggregazione a queste bande – secondo quanto emerge dal rapporto – coinvolge non solo chi proviene da situazioni di marginalità, ma anche da difficoltà relazionali. L’effetto branco diventa un modo per reinserirsi nella società e compensare l’assenza o la problematicità dei rapporti con la famiglia o con il sistema scolastico. Anche la noia, l’utilizzo dei social e l’emulazione sono fattori che spingono i ragazzi a farne parte.
A caratterizzare l’azione delle gang, una crescente efferatezza, condotte di violenza gratuita e insensata, la convinzione di rimanere impuniti. Ragazzi estremi, insensibili, che sembrano non provare emozioni né sensi di colpa.
Le cosiddette baby gang sono diffuse nella maggior parte delle regioni italiane, in particolare quelle del Centro-Nord. Sono formate da piccoli gruppi di ragazzi, non più di 10, in prevalenza maschi con un’età compresa tra 15 e 17 anni.
Giovanissime spesso anche le vittime: nella maggior parte sono coetanei tra i 14 e i 18 anni.
Stato assente
Vicende agghiaccianti che rendono ancora più vive le parole dello psichiatra Paolo Crepet: “Per crescere è indispensabile sentire di appartenere a qualcosa e a qualcuno: un amore, un’ideologia, una bandiera, una fede, un amico, un maestro, un mito”.
Il problema sta proprio qui, nella mancanza di punti di riferimento validi, che portano giovani vite a bruciarsi. Attirate come falene verso il fuoco da miti, esempi, riferimenti effimeri e sbagliati.
Con l’enorme responsabilità di uno Stato che, avendo rinunciato a farsi promotore e difensore di idee forti – fondate sul rispetto del principio d’autorità, della famiglia, dei doveri, siano essi scolastici o lavorativi – lascia allo sbando una larga fetta delle giovani generazioni, prive di educazione, di adeguata istruzione e, conseguentemente, di ogni senso del limite.
Rita Lazzaro