La parabola politica di Luigi Di Maio, dopo un insperato quanto ridicolo successo, si è conclusa nel modo più idoneo al personaggio, ovvero con un insuccesso clamoroso, che lo ha ripiombato nell’anonimato. Il suo cursus honorum è stato fulminante: è passato senza soluzione di continuità da bibitaro a parlamentare, da leader del Movimento 5 Stelle a Ministro degli Esteri.
Più veloce di un cambio d’abito
In questo torno di tempo, durato poco meno di un decennio, le sue posizioni politiche sono cambiate più velocemente di un cambio d’abito, tutto pur di preservare una poltrona certamente immeritata. Di Maio è stato quello dei MeetUp, della presunta rivoluzione dal tetto di Montecitorio, della lotta alla povertà con il reddito di cittadinanza; infine l’alfiere acritico del governo dei tecnocrati ed il partner di Tabacci, il peggio della vecchia politica riciclato ai fini di un’ennesima vittoria elettorale. Tale vittoria, però, questa volta non è arrivata, come se la fortuna gli avesse voltato le spalle.
Idiozia al potere
Fatto sta che, finalmente, è tornato da dove era venuto. Con lui si chiude una fase, quella dell’idiozia al potere; la quale, tuttavia, ancora conta diversi epigoni nelle istituzioni. Ragione per cui, una volta di più, bisogna combattere la mediocrazia che ha volgarizzato la politica. Affinché i Luigi Di Maio non abbiano più agibilità politica, ma il posto nella società che meritano, ben lungi dalle cariche di fede pubblica e più prossimo alle gradinate di uno stadio, che oggettivamente gli si confanno.
Giustino D’Uva