La Meloni utilizza Matteotti per ottenere la patente antifascista – Che Giorgia Meloni sia alla ricerca di occasioni che le consentano di procurarsi la patente di antifascista è noto da tempo.
Ritenendo che la sua sudditanza all’Alleanza Atlantica non sia sufficiente e nemmeno il suo sodalizio con Benjamin Netanyau, la premier ha pensato bene di utilizzare la ricorrenza del 30 maggio, giorno di commemorazione dell’ultimo discorso tenuto alla Camera nel 1924 dal deputato socialista Giacomo Matteotti, indicato come la causa del suo omicidio.
La cerimonia si è avvalsa della recitazione da parte dell’attore Alessandro Preziosi che ha letto ad alta voce l’intero discorso mentre la Meloni ha ribadito che il posto occupato da Matteotti alla Camera rimarrà per sempre simbolicamente vuoto.
Meloni antifa
Se la vicenda è stata utilizzata dalla premier in modo propagandistico per ottenere il plauso della sinistra che si è affrettata a sottolineare le sue parole “finalmente chiare”, a noi dà modo invece di tornare ad approfondire il tema del “Delitto Matteotti” sotto il profilo storico dato che i lati oscuri restano tanti.
Va detto intanto che di sicuro la morte di Matteotti non fu gradita a Mussolini per il quale fu soltanto un grave grattacapo in un momento delicato per il suo governo che si era insediato da 19 mesi. Mussolini, che aveva riportato una clamorosa vittoria nelle elezioni del 6 aprile, non aveva alcun interesse ad eliminare un avversario politico debole e ormai definitivamente sconfitto.
Bene deve averlo saputo Matteo Matteotti, figlio di Giacomo e, a sua volta deputato socialista nel Secondo, per essere arrivato ad affermare in diverse interviste rilasciate alla stampa e anche allo storico Marcello Staglieno, giornalista ed e senatore della Lega, che in realtà il mandante dell’omicidio del padre era stato niente di meno che il Re Vittorio Emanuele III, divenuto azionista della Sinclair Oil Corporation, una potente compagnia petrolifera americana.
La pista Savoia
Si era trattato di una forma di tangente a titolo di ricompensa per il fatto che il re aveva vietato ad una ditta italiana la di trivellare nel deserto della Libia. Il coinvolgimento di Vittorio Emanuele era noto a Giacomo Matteotti il quale, in possesso di documenti importanti, era sul punto di divulgarli.
Pare anche che al momento dell’omicidio il deputato socialista avesse con sé una borsa contenente i documenti in questione. E’ probabile che Matteo Matteotti sia arrivato a queste convinzioni tramite ricerche negli archivi parlamentari cui aveva accesso. Quindi nulla a che vedere con il discorso del 30 maggio che fu un normale discorso di un deputato di opposizione come tanti altri. Quando si vuole, dunque, è facile far correre la fantasia.
Circa poi gli esecutori dell’attacco a Matteotti, va detto che Amerigo Dumini, come lui stesso ricorda nel suo libro autobiografico Diciassette colpi, edito da Longanesi nel 1958, ritenuto responsabile della morte di Matteotti, era membro dell’OVRA e per qualche tempo era stato impegnato a scovare a Parigi i comunisti che si erano resi responsabili dell’omicidio di esponenti del Fascio parigino.
La sinistra che crea dal nulla i suoi miti
Alcune indagini lo avevano portato ad occuparsi del Partito Socialista e di un suo probabile coinvolgimento. Un’altra pista dunque. Dumini, infine, nell’attribuire ad Amleto Poveromo la responsabilità dei pugni sferrati al petto che furono fatali per Matteotti, malato di tubercolosi, smentisce il fatto che Matteotti, mentre moriva ebbe a pronunciare la frase “Uccidete l’uomo ma non le sue idee”: Matteotti in seguito ai colpi ricevuti che gli provocarono un getto di sangue dalla bocca, perse subito i sensi.
La frase fu presa di peso dal resoconto di un cronista dell’Avanti !, un certo Giuseppe Landi che aveva scritto: “…se gliene avessero data la possibilità, Egli avrebbe detto…”.
Una storia quindi quella di Matteotti che dovrebbe essere oggetto di una indagine accurata, volta ad accertare le reali responsabilità e ad appurare la verità storica e non ad essere strumentalizzata a fini propagandistici ma, come sappiamo, non è questo che interessa a Giorgia Meloni.