La frana di Ischia e l’Italia fragile – La frana che ha devastato il paese di Casamicciola nell’isola di Ischia è la tragica, ma purtroppo inevitabile, conseguenza di una totale mancanza di strategie che, in tutti i settori, compreso quello della tutela del territorio (inteso in un senso ampio), caratterizza la politica italiana.
Come sempre accade dopo una sciagura, il governo si ripromette interventi, rimedi, piani ma intanto ancora una volta si piangono dei morti per un evento che avrebbe potuto essere preveduto ed evitato.
Nel 2021, le aree del nostro paese potenzialmente soggette a frane e alluvioni sono aumentate rispetto a quattro anni prima, rispettivamente del 4% e del 19%, con oltre 8 milioni di persone che abitano in aree ad alto rischio.
L’Italia fragile
L’Italia, va detto, è un territorio soggetto “naturalmente” a questi fenomeni.
Gli esperti, infatti, ci spiegano che frane e alluvioni sono sicuramente favorite dalla presenza di rocce sedimentarie friabili e impermeabili, in ragione di una struttura geomorfologica piuttosto recente e di un clima instabile, dove si alternano periodi di siccità ad altri di intense precipitazioni, condizioni che si riscontrano soprattutto lungo la dorsale appenninica e nella fascia prealpina. Ciò comporta che circa il 60% del nostro territorio sia soggetto a quei rischi.
Il fattore umano ne è però una concausa.
La costruzione di opere – ponti, strade e anche abitazioni, insomma una incontrollata cementificazione– che modificano l’ambiente compromettendo l’equilibrio del territorio incrementando fenomeni erosivi e e riducendo la stabilità e la permeabilità del suolo, sono un’accertata condizione di aumento del rischio.
L’azione di disboscamento senza criteri di organicità insieme con l’abbandono dell’agricoltura nelle aree collinari e montagnose anche attraverso i terrazzamenti, che fungevano da veri e propri argini di protezione dei versanti, rappresentano ulteriori concause indiscutibili.
L’importanza dell’agricoltura
E, a questo riguardo, il rilancio di un’agricoltura nelle zone appenniniche sarebbe una chance dai molteplici effetti; oltre a ridurre le possibilità di rischio idrogeologico, costituirebbe occasione di lavoro e ripopolamento di aree ormai abbandonate dalla cronica assenza di opportunità e dalla anti-economicità delle attività agricole, snobbate in nome degli interessi della grande distribuzione e del globalismo.
A questo, però, lo Stato deve contribuire con una politica di incentivi e d’investimenti che favoriscano la riconquista del territorio, per ricreare spazi di autonomia economica e produttiva. Con una programmazione a medio-lungo periodo. Il contadino è sempre stato un naturale operatore ecologico, un guardiano dell’equilibrio dell’ambiente. E, oggi più che mai, ragioni di tutela del territorio e d’indipendenza alimentare, tra loro strettamente connesse, impongono scelte in nome della sicurezza e dell’interesse economico della nostra comunità nazionale.