Israele spara sulla Croce Rossa. E non per modo di dire.
L’espressione “sparare sulla Croce Rossa” appartiene al linguaggio comune e indica l’azione vigliacca di chi colpisce chi non può difendersi, il maramaldeggiare.
Un modo di dire che ha il sapore del paradosso, dell’iperbole, proprio per rendere meglio l’idea di un estremo squilibrio di forze tra chi attacca e chi può solo subire. Ma non ci sono formule abbastanza paradossali per raccontare quello che da troppo tempo accade a Gaza.
Israele è riuscita a trasformare il modo di dire in realtà, senza che nemmeno questa volta la Comunità internazionale abbia avuto un sussulto di reazione.
Centrati dai proiettili di artiglieria
La Croce Rossa ha accusato ufficialmente Israele di aver ucciso 22 persone in un bombardamento “con munizioni di grosso calibro” sulla sede dell’organizzazione umanitaria a Rafah. È una notizia che non necessiterebbe di essere commentata per quanta violenza, arroganza e totale mancanza di scrupoli le forze sioniste abbiano sfoggiato.
Tanto poi c’è sempre la perenne impunità garantita al regime di Tel Aviv, qualunque siano le sue malefatte. E allora ecco il solito teatrino del comando IDF che respinge stancamente le accuse, avendo comunque sempre pronta la scusa: “erano terroristi”.
La pulizia etnica
Per Israele ormai non ci sono più limiti alle violazioni di qualsiasi diritto, di qualunque convenzione. La sola logica che sta perseguendo è quella dell’annientamento totale.
Di Hamas? No. Del popolo palestinese. E per dimostrare per l’ennesima volta al mondo intero quanto lo Stato ebraico se ne infischi delle regole ecco, dopo pochi giorni, uno sfregio ancora più grave: immagini di Al Jazeera mostrano un blindato israeliano che si muove tra le macerie nella Cisgiordania settentrionale, con un palestinese ferito legato sul cofano come scudo umano. Pura barbarie.
Quindi nemmeno a Gaza, dove da quasi 8 mesi infuria un’immane mattanza con la scusa del blitz di Hamas del 7 ottobre. Bensì in Cisgiordania, dove ufficialmente non c’è alcuna guerra, ma che è da sempre teatro dei peggiori soprusi delle forze armate e dei famigerati coloni ebraici.
Ma nessun problema, le autorità israeliane hanno parlato di un “incidente”, di una violazione dei regolamenti, a cui farà seguito un’indagine. Il problema è che lo Stato ebraico riesce ogni giorno ad alzare l’asticella con cui mostra al mondo di cosa sia capace.
La comunità internazionale latita
E sa di poterlo fare perché quasi nessuno osa invocare sanzioni. Intendiamoci, qualcosa finalmente si sta muovendo: il Sudafrica che porta Tel Aviv davanti alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja, i recenti riconoscimenti dello Stato di Palestina da parte di Spagna, Irlanda e Norvegia. Ma è ancora troppo poco.
L’Occidente continua a sostenere Israele e a rifornirlo di armi, quasi ne avesse bisogno, di fronte a pochi combattenti palestinesi mal equipaggiati. E soprattutto, manca il coraggio di pronunciare la parola magica: sanzioni.
Perché, di fronte a tante conclamate violazioni del diritto internazionale e del diritto dei conflitti armati, non usare lo stesso metro usato con la Russia?
La scusa ufficiale è perché c’è stato un 7 ottobre? A 1400 morti causati in quella data da Hamas Israele ha risposto con ormai quasi 40 mila e dimostra di avere tutte le intenzioni di proseguire.
D’altra parte, non ci sarà più una questione palestinese, se non ci saranno più palestinesi…
Raffaele Amato
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