Intervista a Cinzia Franchini, Presidente dell’Associazione “Ruote Libere”, operante nel settore dell’autotrasporto
Come e perché nasce l’Associazione, che lei presiede?
Nato inizialmente come un raggruppamento spontaneo, Ruote Libere è divenuta associazione grazie all’impegno di un gruppo di piccoli imprenditori dell’autotrasporto di diverse regioni italiane, i quali avvertivano e avvertono l’urgenza di dare voce a un settore sempre più dimenticato dalla politica e dalle istituzioni e sempre meno rappresentato dagli storici enti che siedono ai tavoli romani.
L’autotrasporto è uno degli assi strategici per l’economia del Paese e, aggiungo, per la sua stessa tenuta sociale, eppure nonostante valga diversi punti di Pil e nonostante garantisca un servizio vitale, gli operatori del settore vivono sulla propria pelle, da anni, un declino apparentemente inarrestabile.
Noi siamo convinti che sia possibile invertire la tendenza e che questa crisi non sia una profezia scritta nel cielo, ma che con la consapevolezza e l’orgoglio per un lavoro che per molti rappresenta una passione e un legame indissolubile con le proprie radici famigliari, sia possibile ridare dignità e diritti a chi ogni giorno viaggia sulle strade italiane. Il fine di Ruote Libere è questo, lo abbiamo anche scritto nello Statuto: rappresentare il settore e denunciarne i problemi in un modo svincolato da logiche spartitorie e autoreferenziali.
Il settore dell’autotrasporto sconta, da tempo, difficoltà che hanno inciso negativamente sulla figura professionale dell’autista. Cosa è necessario fare per invertire la rotta?
Le difficoltà che vivono ogni giorno gli autotrasportatori sono note. Parliamo di un settore formato in prevalenza da piccole e medie imprese e gravato da costi tra i più alti in Europa, da una concorrenza selvaggia e dallo sfruttamento della manodopera, anche straniera, come dimostra l’allargamento delle maglie del Decreto flussi.
La normativa di riferimento è datata e di una complessità barocca che, paradossalmente, attraverso una assenza di controlli finisce per tollerare in modo inaccettabile la ricerca di scorciatoie normative che mettono a repentaglio la sicurezza di tutti.
D’altro canto, la folle corsa al ribasso del prezzo dei servizi finisce per mettere fuori mercato proprio le aziende sane e virtuose, premiando quelle che possono permettere di offrire al committente corse a prezzi stracciati, in virtù di un sostanziale mancato rispetto delle norme o – ancor peggio – di logiche che non hanno nulla a che vedere con la concorrenza e il mercato.
Si spiega così il dilagare della illegalità e il fatto che l’autotrasporto figuri sempre tra i settori più infiltrati dalla criminalità organizzata che, evidentemente, persegue attraverso aziende di autotrasporto attive a tutti gli effetti, obiettivi diversi dalla semplice quadratura di bilanci e dell’equilibrio tra entrate, uscite e guadagni aziendali.
All’aumentare dei problemi, esplosi in modo evidente con il caro gasolio, in questi anni ha fatto paradossalmente da contraltare la crisi della rappresentanza. Le associazioni di categoria, lungi dal difendere le aziende e gli autotrasportatori, appaiono sempre più preoccupate nel preservare le proprie rendite di posizione: esemplare in questo contesto il tema del rimborso dei pedaggi autostradali, che solo in minima parte finiscono nelle tasche degli imprenditori, e quello dei corsi di formazione, ridotti spesso a semplici meccanismi burocratici e funzionali al mantenimento delle stesse strutture associative.
Per invertire la rotta credo che occorra ripartire dal vero coinvolgimento di chi ogni giorno percorre le strade italiane. Bisogna allargare l’ascolto al di fuori degli incontri formali dell’Albo e aprire un dialogo con chi non ha interessi da difendere legati ai risvolti economici, ma che vorrebbe solamente lavorare con dignità.
Insomma, occorre tornare a riempire di contenuti la rappresentanza.
L’Esecutivo in carica compie oggi (30 gennaio) 100 giorni: vuole tracciare un bilancio e/o esprimere un giudizio, riguardo al settore del trasporto merci? Cosa si sente di suggerire ai ministri competenti per materia e/o all’intero Governo?
Abbiamo sempre cercato di giudicare i provvedimenti del Governo nel merito, indipendentemente dal colore politico. Anche col Governo Meloni l’approccio è il medesimo.
Sono passati poco più di tre mesi dall’insediamento ed è difficile tratteggiare un bilancio organico. Indubbiamente la scelta di eliminare il taglio sulle accise non è stato un segnale positivo, poiché il ripristino del rimborso ordinario, pur fondamentale, non riguarda molte piccole aziende che non sono state in grado di rinnovare il loro parco mezzi o che hanno veicoli inferiori alle 7,5 tonnellate.
D’altra parte, si è ricostituito nei giorni scorsi il Comitato Centrale dell’Albo Nazionale degli Autotrasportatori, così come imposto dalla sentenza del Tar del Lazio del 10 novembre 2022, in seguito ad un ricorso presentato da una delle associazioni rimaste escluse. Un organismo così ampio e sulla carta rappresentativo dovrebbe teoricamente essere in grado di mettere mano ai nodi irrisolti che ho cercato di elencare.
Purtroppo, temo che questa sia una speranza vana e per questo rinnoviamo l’invito al ministro Salvini di uscire dalle stanze autoreferenziali dell’Albo per confrontarsi col mondo reale.
In una sua recente intervista televisiva, lei ha parlato dell’iva applicata alle accise sui carburanti? Ci dice di più su entrambe (sull’iva e sulle accise), per fare chiarezza?
L’Iva sulle accise è di fatto una tassa sulle tasse e questo, al di là degli aspetti legali, resta agli occhi di tutti quantomeno anomalo.
Sulle accise potrei limitarmi a citare quello che le attuali forze di governo hanno più volte promesso in campagna elettorale, o quello che è scritto nello stesso programma di governo del partito del premier: “sterilizzazione delle entrate dello Stato da imposte su energia e carburanti e automatica riduzione di Iva e accise” Se questo principio vale per tutti i cittadini automobilisti, l’urgenza di una misura di riduzione del costo del carburante per il settore dell’autotrasporto è evidentemente ancor più pressante.
Per gli autotrasportatori, infatti, quello del carburante rappresenta la prima voce di costo e, in un momento così complicato per i motivi che ho cercato di spiegare, occorre intervenire con misure ad hoc. Il rischio è quello di mettere a repentaglio la vita stessa di molte piccole e medie aziende.
Le sanzioni alla Federazione russa, che anche l’Italia ha ratificato, hanno avuto un impatto sul settore di sua competenza? Più in generale, cosa ne pensa?
La guerra in Ucraina e le sanzioni dell’Europa che anche l’Italia ha sottoscritto, indubbiamente incidono sui bilanci di famiglie e imprese. Penso soprattutto al costo dell’energia, del gas e della elettricità, un sacrificio la cui ratio, al di là che la si approvi o meno, mi pare sia stata spiegata ripetutamente ai cittadini.
Detto questo, rimanendo al settore dell’autotrasporto, non credo sia corretto giustificare il caro carburante attraverso questa chiave di lettura. Il costo del petrolio è stato ben più alto in passato, eppure col Brent che sforava i 90 dollari al barile il costo alla pompa era inferiore rispetto ad oggi, che si attesta di poco sopra gli 80 dollari.
Più che a logiche internazionali, quindi, io credo che l’impatto negativo che ha subito il settore negli ultimi mesi sia da ricercare anche in speculazioni ingiustificate. È a queste speculazioni che il Governo dovrebbe dare risposta, non tanto cercando di individuare la colpa in qualche raro caso di gestore poco onesto, ma impegnandosi a scardinare i meccanismi distorsivi che avvengono a monte.