In ricordo di una persona perduta – Pubblichiamo volentieri un denso componimento di un nostro redattore sugli affetti passati, sulle persone che sono andate avanti e sullo scorrere del tempo. I lettori perdoneranno lo stile fortemente lirico – Mio caro tempo, mio caro passato e mia cara vita, non considero voi responsabili del campo di battaglia che ha ripreso vigore dentro di me, e della lotta che si consuma nel fango torbido mischiato al sangue versato e alle lacrime scivolate, dove le due fazioni contrapposte si colpiscono immerse in un fuoco di polveri tra trombe squillanti che invocano l’ultima carica decisiva.
Tuttavia, non posso nemmeno considerare me stesso come l’unico responsabile della perdita: una giusta ed equa distribuzione delle responsabilità sarebbe più che legittima.
Ricordare. Bastano delle foto, forse anche una sola immagine, di cui ignori il soggetto, il luogo e il tempo, ma basta una sola foto e l’evocazione è riuscita, compiuta, e quella persona perduta ritorna.
Quando pensavi che tutto fosse finito qualcosa ti afferra dal basso, ti strattona i pantaloni e si ripresenta nella tua vita. Pensavi che la traversata in tempesta fosse passata, un ricordo da incasellare e lasciarsi alle spalle, il tempo della bonaccia era ormai prossimo e in quello stato di quiete avresti potuto dedicarti alle vele strappate, agli alberi spezzati, a rimpiazzare i remi perduti, assaporando una nuova alba, nuove terre e nuovi orizzonti.
Eppure, no, come un demiurgo la sua mano si frappone come un ostacolo, ti sbarra il cammino e ti senti tirare quel lembo di stoffa più insistentemente, e vorresti che si strappasse, vorresti liberarti da quella presa, anche a costo di ritrovarti nudo, spogliato di tutto, ma con te stesso; quello strappo è il desiderio della disperazione.
Rivedi quelle immagini, rivedi quel volto bellissimo che le vicissitudini hanno trasformato in un incubo quando quel volto non c’era più, diventato uno spirito notturno che arrivava e ti tormentava nella notte, penetrando il tuo sonno, insinuandosi nei tuoi sogni.
Tuttavia, quel volto rimane il volto angelico che è stato, e lo immaginerai sempre, per sempre, nella tua quotidianità, un’immagine scolpita e viva, un memento di quanto sia stato bello ma difficile, romantico ma intenso, troppo intenso.
Nessuno può sapere il dispendio di energie, la fatica e la tenacia investite e consumate durante quella traversata: la pelle, gli occhi, le mani, le labbra, le dita, le gambe, l’intimità ne sono consapevoli.
È nel rapporto con le persone perdute che hai conosciuto meglio il tempo, il suo trascorrere, il suo andare avanti che trascina con sé l’adesso, l’ora, il momento, e non lo riporta più, perché il tempo difficilmente restituisce ciò che si ha avuto e ciò che si poteva avere. Il tempo non è tanto meccanico e gentile quanto lo è mare, il quale si dice restituisca tutto. E come le coincidenze mancate di due treni, assenti l’uno per l’altro, treni condannati ad alternarsi nella partenza e nell’arrivo, senza sostare mai l’uno di fronte all’altro, se non per poco, se non per un saluto, ecco che anche noi ci siamo mancati, forse per distrazione, forse per noncuranza di un capostazione.
Diversamente, se quei treni si fossero arrestati l’uno di fronte all’altro, essi sarebbero stati in pace, felici e in perfetto equilibrio, il tempo si sarebbe finalmente arrestato in quell’attimo eterno e immutato, impermeabile al degradare della materia, e così, senza il tempo, i sentimenti non si sarebbero assottigliati, non si sarebbero dispersi né avrebbero sofferto quello sdrucciolamento; i cambi di direzione repentini e la volubilità non avrebbero avuto ragione di esistere, il tempo si sarebbe fermato, per sempre, e nessuno avrebbe potuto ostacolare questo desiderio; nemmeno la più folle delle intenzioni di arrampicarsi sulla torre dell’orologio e spostare le lancette per forzare il tempo a ripartire avrebbe funzionato. I treni avrebbero desiderato restare lì, l’uno di fronte all’altro, a guardarsi, a parlarsi, tra uno sbuffo di fumi e l’altro.
Tutto questo sarebbe stato, ma non è stato. Un desiderio, questo, che rimane incompiuto, vacillante tra il tempo che non perdona nella sua indifferenza, nel suo correre in avanti, e la speranza che il tempo possa ritornare sui suoi passi, in guisa diversa dalla volta precedente, accompagnato da nuove circostanze, così che la speranza e il desiderio non sarebbero più soltanto in potenza ma realtà realizzata. Sarebbe bello reincontrarsi un giorno, chissà, magari in una stazione lontana chissà dove, forse in un’altra vita.
In ricordo di una persona perduta.
Riccardo Giovannetti
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