Immigrazione e mafia straniera, intervista all’avvocato Marco Verni – Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni, dopo la visita a Lampedusa con il presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen ha affermato che “Si riparta dalla seconda e terza parte della missione Sophia (…) Per quanto riguarda la missione navale, continuo a dire quello che ho sempre detto: l’unico modo serio per affrontare questa vicenda è da una parte aiutare le autorità del Nord Africa a gestire il flusso di chi parte, e sono iniziative che vanno fatte in accordo con le autorità nordafricane”.
Parole che non hanno convinto chi si occupa di immigrazione come l’avvocato Marco Valerio Verni, il quale sulla sua pagina Facebook ha parlato di una vera e propria “passerella” a Lampedusa.
Avvocato, cosa l’ha portata a questa conclusione? Di conseguenza cosa si sarebbe aspettato dal governo Meloni?
Sono anni che si discute di immigrazione e si assiste alle stesse scene. È un argomento certamente complesso, da una parte, e scomodo dall’ altra, per chi lo deve affrontare. Ma io non dimentico soprattutto chi lo deve subire.
Non sono d’accordo con chi, al riguardo, critica aspramente il governo Meloni, che sta in carica da poco tempo rispetto a quello che ci vorrebbe, onestamente, per invertire la rotta, ma, piuttosto, nutro insofferenza verso la tematica in sé e le tante parole che, intorno ad essa, si sono spese e si continuano a spendere, inutilmente.
La realtà è che, oltre l’Italia, tutti i Paesi membri dell’Unione Europea dovrebbero rispettare le regole al riguardo, senza “se” e senza “ma”. Basta al fatto che si debba assistere alle dichiarazioni di solidarietà dei soliti noti nei nostri confronti, trite e ritrite, salvo poi vedere che, nei fatti, costoro blindino la frontiere ai propri confini, rifiutino la ridistribuzione dei migranti o, addirittura, come pure accaduto, con mirabolanti retromarce oratorie, arrivino ad accusare noi di violare i Trattati o i regolamenti, o di essere il colabrodo d’Europa o, ancora, di essere, come se dipendesse (solo) da noi, il crocevia delle organizzazioni criminali transnazionali per l’Europa stessa.
Ha ragione il nostro attuale presidente del Consiglio nel dire che occorrerebbe smetterla con certe narrazioni che, fino ad oggi, hanno accompagnato il racconto sulle migrazioni dal continente africano, sebbene esse, chiaramente, si sviluppino anche lungo altre direttrici (vedasi quella dei Balcani, ad esempio) e che, dunque, si inizi, ad esempio, a riconoscere che esso non sia affatto povero e, aggiungo io, che le stesse classi dirigenti dei singoli Stati che lo contraddistinguono siano padrone del loro destino, e non, invece, vittime predestinate degli occidentali, come pure spesso si sente dire o si legge.
Il paternalismo
Insomma, si dovrebbe smetterla con l’utilizzo di toni paternalistici nei confronti dei popoli di lì, quasi a voler colpevolizzare il “nostro” mondo, in eterno, per il colonialismo (su cui, semmai, occorrerebbe fare delle grandi distinzioni, ed i diversi “colpi di Stato” di questi mesi che si sono avuti in alcune regioni di quel continente lo stanno, per certi versi, a dimostrare).
Così come- udite, udite – i primi a non potersi sopportare gli uni con gli altri, sono gli stessi Paesi africani tra di loro: la Tunisia, ad esempio, non vede di buon occhio i migranti provenienti dalle regioni sub-sahariane, ed i nigeriani sono considerati pericolosi da molti di quello stesso continente, tanto per citare due esempi, in maniera molto chiara.
Detto ciò, occorrerebbe maggior decisione sui tavoli che contano, ricordando provocatoriamente a tutti che i Trattati o i regolamenti si possono anche stracciare, se, al dunque, nessuno li rispetta nella sostanza.
L’Unione Europea
D’altro canto, occorrerebbe un maggior impegno della stessa Unione Europea e delle Nazioni Unite in progetti di cooperazione internazionale, iniziando, anche qui, ad esempio, con il rendere il c.d. “Piano Mattei per l’Africa” un obiettivo comune, per favorire il diritto di quei popoli a non emigrare ed a rimanere nelle loro terre.
Ma, pure in questo caso, uscendo dall’ipocrisia diplomatica, ci si scontra con gli interessi delle singole nazioni, Francia in primis, o con fenomeni come il land-grabbing, di cui sono campioni i cinesi.
Inoltre, quando si parla di incrementare gli accordi con i Paesi africani per il rimpatrio degli irregolari, iniziare a valutare eventuali ritorsioni diplomatiche, economiche e finanziarie, nei confronti di chi non volesse o dovesse accettare, o di farlo per finta: se qualcuno fa il duro (vedasi, ad esempio, la già citata Tunisia), l’Unione Europea lo deve fare di più.
Occorre neutralizzare l’arma di ricatto dell’immigrazione irregolare ed incontrollata, che va a discapito, tra l’altro, di chi pure avrebbe diritto alla protezione internazionale, a tutto vantaggio delle organizzazioni criminali.
A suo avviso, quale sarà l’epilogo di questa immigrazione ormai fuori controllo?
Come dicevo prima, occorre porre un freno. Si rischia, come già sta accadendo, di creare delle banlieue, come nella tanto rinomata Francia, dove abbiamo visto ciò che, ricorrentemente, accade.
Se si accoglie più di quanto si possa, non si garantisce l’anello successivo, molto importante, ossia l’integrazione, sebbene, per potersi quest’ultima avere, occorre, altresì, la volontà di chi viene da noi.
È assurdo leggere di alcuni immigrati, coinvolti, magari, in qualche crimine, che, dopo anni di permanenza sul nostro territorio, ancora non parlino l’italiano, neanche a livello basico, o non conoscano le norme più elementari del nostro vivere civile. Trovando, in qualche frangente, l’avallo di qualche magistrato, che magari ritiene scriminante un loro comportamento, che da noi costituisce reato, sull’assunto che, invece, nella cultura di costoro “funziona così”.
Sarebbe importante, inoltre, vigilare sulle associazioni che si dedicano proprio all’accoglienza, cercando di affiancarle nelle difficoltà, da una parte, ma controllando e punendo, per altro verso, chi, tra loro, non svolga bene, o per nulla, il loro delicato compito, per il quale godono, per la maggior parte, di denaro pubblico.
Insomma: occorre dare, come si soul dire, il classico giro di vite, su ogni aspetto legato a questa tematica.
Lei, oltre ad essere l’avvocato della famiglia Mastropietro, è anche padrino e zio di Pamela, la diciottenne violentata, uccisa nel 2018 dal nigeriano Innocent Oseghale. Un delitto che vede coinvolta la mafia nigeriana. A tal proposito, con questi sbarchi continui, cosa pensa stia accadendo ma soprattutto accadrà con le mafie straniere?
Quelle, purtroppo, da una parte non fanno altro che lucrare e, quindi, potenziarsi sempre di più, con la tratta di esseri umani: dall’altra, è inevitabile che, pure da noi, ci sia un incremento delle stesse.
E, chi non finisce con loro, magari finisce con le nostre.
Perché vede, al netto di chi è già criminale, anche chi non lo è, magari finisce con il diventarlo, perché se poi manca, come dicevamo prima, l’integrazione, con tutto quello che ne consegue, il pericolo è anche questo.
E la si finisca, pure qui, come dico sempre, di tacciare di razzismo o di incitamento all’odio razziale chi affronti certe tematiche: chi lo fa, infatti, ignora che, ad esempio, se si parla di mafia nigeriana, le prime vittime di quest’ultima siano le nigeriane stesse. Idem, quando si parla di criminalità albanese o cinese.
Con ciò, chiaramente, non si deve fare, su chi viene da noi nelle maniere che conosciamo e di cui stiamo discutendo, “di tutta un’erba un fascio”.
Ma sarebbe importante che, quando accadano determinati fatti eclatanti, chiaramente criminosi, le relative comunità cui magari appartengono i rei, ne prendano apertamente le distanze, condannino l’accaduto e, magari, attraverso apposite associazioni o enti eventualmente a tale scopo preposti, inizino pure a costituirsi parti civili una volta esercitata la conseguente azione penale. L’integrazione si ha con i fatti, e non solo con le parole.
Nemes Sicari