Il vaccino di regime – Qualcuno davvero nutriva qualche speranza sull’esito della decisione della Consulta in merito alla legittimità dell’obbligo vaccinale? Qualcuno pensava davvero che essa ragionasse in termini strettamente giuridici e non politici?
Le attività della Corte
La Corte costituzionale iniziò la sua attività nel 1956, anno del suo insediamento, con un ben diverso atteggiamento. La sua prima decisione, che prese naturalmente il numero 1, cancellò una serie di autorizzazioni di polizia, previste nella vecchia legge di pubblica sicurezza, necessarie per l’affissione di manifesti o per la distribuzione di volantini. Per la cronaca, la sentenza cui fu assegnato il numero 1 dell’anno successivo – la prima emessa nel 1957 – prendendo in esame la c.d. “legge Scelba” del 1952, limitò la rilevanza penale della apologia di fascismo ai soli casi in cui questa rappresentasse un pericolo di ricostituzione di quel disciolto partito, in una lettura orientata a garantire comunque il diritto di opinione.
In entrambe le occasioni la Corte era presieduta dal primo presidente dell’Italia repubblicana, già senatore del Regno, Enrico De Nicola, il quale redasse personalmente la motivazione della seconda.
Insomma, il così detto “giudice delle leggi”, così definito in quanto chiamato a valutare la conformità della nostra produzione legislativa ai principi costituzionali, iniziò a operare in termini di tutela di spazi di libertà. E, in questa prospettiva, censurò infatti tutte quelle disposizioni che, adottate durante la vigenza di un regime certamente autoritario, non erano più compatibili col nuovo assetto istituzionale.
Pretoriani del nuovo corso
La sentenza pronunciata giovedì scorso dalla Consulta chiarisce una volta per tutte, se mai ve ne fosse bisogno, il nuovo ruolo da essa sostanzialmente assunto; quello di garante del nuovo assetto post-democratico che si è installato nel paese, ampiamente manifestatosi da tempo attraverso segnali di tutta evidenza; fra i tanti, lo svilimento del ruolo parlamentare, la precipitazione delle percentuali di voto, la sottomissione del governo a direttive esterne, di natura politica, strategico-militare, economica, in palese contrasto col metodo di governo repubblicano; la restrizione progressiva degli spazi di libertà in nome di una emergenza mai chiaramente definita e comunque non prevista dalla carta costituzionale.
Uno schiaffo agli italiani
La Corte, infine ha proceduto alla ratifica di quelle scelte legislative che, di fatto, hanno ricattato il lavoratore costringendolo a un trattamento sanitario in nome di una presunta protezione dal rischio, rivelatasi poi insussistente; e che in realtà mascherava una sorta di prova generale di controllo sociale con metodi d’intimidazione collettiva.
Con il che, il principio del lavoro come fondamento della repubblica, sancito dal primo articolo della Carta, se n’è andato bellamente a farsi friggere, ironia della sorte proprio nell’imminenza del 75° anniversario della promulgazione della Costituzione; insieme a quella ampia produzione giurisprudenziale della Consulta comunque diretta a favorire la libertà della persona e che, oggi, rimane un lontano e malinconico ricordo.
La Meloni tace
Il governo in carica non può certamente interferire con le scelte di un altro organo di rilievo costituzionale come la Corte delle leggi; può però cominciare a dimostrare, in primis a chi ha votato i partiti che lo compongono, soprattutto quello che ha raccolto il maggior consenso, di possedere un’anima.
Lasciando per ora da parte il problema, enorme, della partecipazione italiana alla guerra – su cui torneremo prestissimo (per non parlare che del più impellente) – dimostri la signora Meloni e il suo consiglio dei ministri di volere procedere in controtendenza rispetto ai precedenti esecutivi sul tema dell’emergenza pandemica: revocando le sanzioni inflitte ai non vaccinati, indennizzando i lavoratori sospesi e cancellando ogni traccia di quell’incubo orwelliano che gli Italiani hanno subito per oltre due anni e su cui tanto si è battuta l’opposizione parlamentare di FDI.
Sarebbe la miglior risposta, in chiave costituzionale e popolare, a una sentenza anticostituzionale e antipopolare.
Non lo faranno? Vorrà allora dire che hanno accettato di rimanere invischiati in quel collante torbido che tiene in piedi l’attuale regime post-democratico; fino a quando questo, prima o poi, li digerirà sputandone gli ossicini.
Gianni Correggiari