IL ROSSO E IL NERO: AL CROCEVIA DEL PRESENTE

IL ROSSO E IL NERO: AL CROCEVIA DEL PRESENTE.
IL ROSSO E IL NERO: AL CROCEVIA DEL PRESENTE – Cercherò di essere chiaro subito. Alla mia età, la sincerità si permette il lusso di prevalere sulle buone maniere e, se avrete la pazienza di leggere fino in fondo, capirete la ragione della premessa.

Non rinnego nulla di ciò che ho fatto in politica. E credo che tanti della mia generazione ci si riconosceranno: la precoce scelta patriottica della Giovane Italia; l’adesione giovanile e un po’ romantica agli esuli in patria del Msi, in nome del riscatto di una guerra perduta e della mattanza che ne era seguita. Nel mio caso, c’era anche la militanza élitaria nel centro studi di ON, che insegnava a chinare la schiena sui libri e a drizzarla nell’azione. Tifavo per i “centurioni” e sognavo l’Europa Nazione. Ma incombeva la cortina di ferro e la minaccia dall’oriente rosso. Vivevamo colonizzati dell’Occidente, necessariamente “protetti” dell’atlantismo. Invano i reduci della Fenacore ci ricordavano l’opposizione alla Nato.

Il mondo andava più veloce delle nostre nostalgie.

Per parte mia, di lì a poco, avrei vissuto la prima musica alternativa e il giornalismo d’assalto su Candido; aperto i microfoni di Radio University e dato voce alla rivolta giovanile dal palco dei campi Hobbit.

Attorno cominciava ad imperversare la follia degli anni di piombo. E noi eravamo, non potevamo essere altrimenti, anticomunisti. Perciò, dico che non rinnego un solo passo di quel cammino, un po’ claustrofobico, tracciato dalla necessità di difendere il nostro “spazio fisico” dalle minacce di un sistema inventato per escluderci.

Esclusi dalla Costituzione perché avevamo il torto di non essere ancora nati quando fu scritta, esclusi dal dibattito politico perché eredi della più straordinaria eresia del secolo che si andava chiudendo. Intorno abbaiavano i cagnacci ringhiosi dell’ultrasinistra: finti rivoluzionari antisistema e, spesso inconsapevoli, custodi dei privilegi della partitocrazia.

Stare della nostra parte non comportava compensi ma presentava prezzi da pagare: ostracismo in famiglia, a scuola e nel lavoro. Per i meno fortunati, galera e sprangate. Fino alla lunga striscia, rosso sangue, dei nostri morti ammazzati: ventuno, in pochi anni.

Gli opposti estremismi

Mentre la nostra povera patria veniva lacerata dagli “opposti estremismi” –  una formula perfetta del sistema per zittire qualunque dissenso e mandare a nanna presto gli italiani scontenti – imparammo a farci le prime domande scomode sul nostro ruolo politico.

Cominciammo a chiederci se, anche noi, accecati dalla generosità di chi crede, non fossimo parte di un tragico teatro dei pupi: rossi contro neri. Incapaci di vedere chi tirasse i fili.

Citando Rauti dirò che “le abbiamo provate tutte” per uscire dal copione scritto da altri per tenerci fuori dal gioco. Ma anche Pino fallì, nonostante la suggestione dello “sfondamento a sinistra”. Tanto il partito era destinato ad esaurirsi, da solo, senza vere strategie, fra entrismi fallimentari e sdoganamenti interessati.

Accidenti. Non avevo nessuna intenzione di allineare un cupo bigino di storia missina volevo semplicemente ricordarvi qualche banale passaggio della nostra prigionia nello schema destra/sinistra.

La Fiamma e il Garofano

Le vicende, specie quelle recenti, le conoscete meglio di me. Annoto solo una riflessione inedita, smossa dalla lettura di un bel libro di de Brabant, appena uscito, sull’incontro mancato tra la destra italiana e Craxi. Quando Almirante avrebbe potuto immaginare uno scenario nuovo, fuori dal ghetto politico, e aprirsi al dialogo con l’uomo di Sigonella: almeno per riconoscergli quel formidabile scatto di orgoglio nazionale e di essere stato l’unico leader della sinistra capace di mettere in discussione la conventio ad excludendum inventata contro i missini quando dichiarò che “nessun partito poteva essere considerato fuori dalla costituzione”. Finì con le monetine tirate al Cinghialone. Poca roba rispetto alla fine di Bombacci, finito fucilato sul lungolago di Dongo e appeso per i piedi a piazzale Loreto per aver trovato la realizzazione del suo sogno politico a casa dei suoi ex nemici.

Ma torniamo al 1984. In meno di dieci anni, l’orgoglioso armamentario neofascista si sarebbe dissolto, imbarcato nel pragmatismo berlusconiano, e la fiamma spenta nell’acqua di Fiuggi.

Dove va a parare tutto questo amarognolo e affannato riassuntino la nostra storia politica?

Il credito bruciato

Ai giorni presenti. Alla recente vittoria del partito di Giorgia Meloni che dovrebbe farci pulsare d’orgoglio dopo anni di frustrazione, di esclusione, di attesa. Se non fosse che la prima donna premier della storia italiana ha bruciato tutto il credito delle sue promesse elettorali (e la reputazione di dieci anni di opposizione) sposando una linea liberal conservatrice che la rende continuatrice dell’agenda Draghi. Succube dell’UE (che non è l’Europa!) e dei suoi parametri economici; entusiasta simpatizzante delle peggiori politiche atlantiste; zelante sostenitrice della guerra in Ucraina, che brucia miliardi in armamenti sottraendoli alla spesa sociale; incapace di una parola chiara sul massacro di Gaza.

Da Palazzo Chigi, rivestito di tricolore, ascoltiamo soltanto la pigra e servile ripetizione di parole d’ordine dettate da oltre oceano. Neppure un timido tentativo di aprirsi ad una visione geopolitica multipolare, di ridisegnare i rapporti internazionali secondo la realtà che si sta materializzando con i Brics.

Questo nuovo esecutivo – che doveva essere “nostro” – ha messo in scena il tradimento più traumatico e clamoroso che potesse venire consumato contro chi viene da ben altra storia: quella della socialità e dell’identità.

Indipendenza!

Ho partecipato, lo scorso novembre, alla nascita del Movimento Indipendenza!.

 Mi sono riconosciuto nel suo programma e ho avuto la consapevolezza che la sua costituzione rappresenta l’ ”ultima chiamata”, lucida e orgogliosa, trasversale e dinamica, per aggregare tutte le forze che intendono opporsi al sistema dei potentati burocratici e finanziari che stanno svendendo e affossando il nostro Paese.

Ho assistito, nelle ultime settimane, ad un curioso starnazzare di molti amici che “da destra” si dichiarano stupiti dalle prove di dialogo e collaborazione con Marco Rizzo, coordinatore nazionale di Democrazia Sovrana e Popolare ed ex comunista. Un uomo che, senza disconoscere il proprio passato (esattamente come noi), accoglie e rilancia, mettendoci la faccia, le stesse linee di lotta del nostro Movimento contro “un occidente ormai privo di valori”. Denunciando, con le nostre stesse parole, la ideologia woke , le euro follie gender e green, le speculazioni criminali sulla vaccinazione coatta, la distruzione dell’agricoltura, la svendita delle nostre imprese e la delocalizzazione selvaggia.

Ricordo, ai miei “camerati” dall’orologio fermo, che il comunismo è imploso nel 1989 e da troppi anni c’è chi campa, a pane e burro, su un anticomunismo di maniera.

Io non sono più disposto a farmi usare come arnese arrugginito di un mondo ormai finito per far scattare antichi riflessi pavloviani. Io non dimentico e non tradisco. Ma non sono un fesso.

La nostalgia del futuro

Se ho avuto il discutibile gusto di allineare, per metà di questo pezzo, le mie credenziali anticomuniste è stato per far riflettere i miei consimili (per età, esperienze e scelte) di quanto – nonostante le molte primavere e i “nastrini” delle campagne – sia necessario, da qui in poi, ragionare su fatti concreti e impegni non declinabili, e non più sui colori, ormai stinti, agitati dalle tifoserie di un derby politico giocato e concluso trentacinque anni fa.

Riconosco nelle parole di Rizzo molti propositi, chiari e rotondi, impegnativi ed onesti che vorrei poter ascoltare dagli epigoni di quella che, per una vita, è stata la mia casa e la mia battaglia.

Nutro fiducia nell’ importante delega che Gianni Alemanno si è impegnato a portare avanti. Perciò resto a vedere come andrà a finire questo ennesimo incontro, al crocevia della storia, dei movimenti popolari e sociali della nostra Italia.

Nella speranza che tutti, giovani e meno giovani, liberino il cuore e la mente da quella mentalità da riserva indiana che non ci ha portato bene ed è stata la prateria di troppe interessate speculazioni. Riempiano i polmoni di un sorso di aria pulita e si rimbocchino le maniche per riconquistare le loro chiavi di casa, cominciando con questa sfida lanciata per ritrovare la loro “Indipendenza”.

E ora, “sputatemi addosso”…

Walter Jeder

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