La nostra sembra davvero un’era caratterizzata dall’impotenza assoluta. Siamo reduci da una pandemia devastante e siamo circondati da due conflitti internazionali di grave entità: in Ucraina a seguito dell’invasione russa, e in Israele a seguito della strage del 7 ottobre 2023, che ha dato inizio ad un conflitto rispetto al quale è difficile, ancora dopo un anno, fare qualsiasi previsione. Ma nel mondo ci sono comunque infiniti conflitti che stanno continuando e di cui si parla meno, ma che ogni giorno causano morti e distruzione.
Oltre a questo, abbiamo uno sviluppo esponenziale della tecnologia, che sta cambiando il nostro modo di produrre, di lavorare, i nostri modelli di business e il nostro modo di consumare. Un fenomeno potenzialmente positivo, ma che certo sembra essere totalmente fuori controllo.
Roberto Panzarani insegna Innovation Management al CRIE, Centro De Referencia Em Inteligencia Empresarial presso l’Università Federale UFRJ di Rio de Janeiro, al Master in Gestione e Risorse Umane, Università Lumsa di Roma, all’Università Telamtic San Raffaele e al Master Executive Development Programma, Confcommercio. Tiene conferenze sull’innovazione in alcune delle principali università del Brasile e ha pubblicato numerosi libri italiani tradotti in portoghese.
Con un curriculum di assoluto rispetto, scrive per riviste esclusive e di settore, fornendo analisi molto interessanti.
Tra cambiamento e disorientamento
Come ho riflettuto anche nel mio libro appena uscito, Arcipelago Innovazione, incalza il Prof. Panzarani, “ci sentiamo soli e impotenti rispetto a un mondo che sta cambiando così velocemente e rispetto al quale non si trovano esempi di governance all’altezza di guidarci, di sostenerci, di prendersi cura di noi”.
“Dobbiamo auto-organizzarci, in ogni ambito, dobbiamo cercare di capire fenomeni complessi, dal mondo del lavoro all’edilizio alla mobilità, come la great resignation e le skill del futuro, in particolare nelle modalità “soft” e “green”, come abiteremo il futuro tra bioedilizia ed ecovillaggi, e senza dubbio l’intelligenza artificiale, una sorta di tecnologia “trasversale” che è destinata a permeare quasi tutti gli aspetti della vita sociale”.
Indagare il rapporto tra scienza e impresa, le relazioni già in essere e quelle auspicabili tra ricerca e industria, è una grande opportunità che non bisogna perdere per approfondire i grandi progressi che la scienza consente e consentirà nel prossimo futuro e per sensibilizzare la società riguardo l’importanza degli studi scientifici.
Nel mondo ci sono tanti parchi tecnologici, luoghi cardine del rapporto tra scienza e impresa che facilitano e velocizzano i processi di innovazione, dove coesistono ricerca, formazione e territorio: Silicon Valley negli Stati Uniti, Sophia-Antipolis in Costa Azzurra, Porto Digital in Brasile, Adlershof in Germania, Kista Science City in Svezia, Cambridge Science Park in Inghilterra, Philips Research a Eindhoven in Olanda, campus Huawei di Dongguan in Cina, Kilometro Rosso e H-Farm in Italia.
Qualunque sia il contesto politico e culturale, abbiamo bisogno non solo di aziende e istituzioni più efficienti, ma anche di gruppi di persone in grado di lavorare insieme senza ego, senza attriti e disattivando quel pensiero rigido che erige muri incredibili davanti alla possibilità di progresso e di benessere.
Un punto spesso sottovalutato è che proprio la constatazione del fatto che le nostre società vivono attualmente un palese deficit di pensiero e di senso deve condurci ad incentivare maggiormente lo sviluppo di scienza e tecnica, sostiene appropriatamente il Prof. Panzarani.
Abbiamo assistito, e continuiamo ad assistere alla trasformazione del vecchio posto di lavoro, alla riformulazione dei contratti, al modellamento della società in comunità, a un diverso approccio all’apprendimento dove ciò che conta è il know-how, l’esperienza, la conoscenza dei singoli e delle loro peculiari abilità all’interno dei team.
Città alla ricerca di senso
Su questo sfondo, rendere le città “smart” non è solo una moda: si stima che nel 2050 il Pianeta sarà abitato da circa 9,7 miliardi di persone, quindi non è solo una questione di migliore vivibilità ma proprio di sfruttare la transizione digitale per offrire una migliore efficienza energetica e nell’utilizzo complessivo delle risorse naturali per consentire, in ultima analisi, una migliore qualità diffusa della vita.
Il programma di rendere Amsterdam una smart city è iniziato nel 2009 e trai i suoi obiettivi ambientali c’è quello di ridurre le emissioni di CO2 del 40% entro il 2025. Per farlo, in città vengono installati sugli edifici contatori intelligenti basati su sensori che riducono la propria impronta di carbonio, consentendo agli abitanti di monitorare il proprio consumo energetico in tempo reale.
Amsterdam non è solo innovation city da un punto di vista energetico, ma anche digitale e sociale, con i diversi programmi attuati per rendere la città un’eccellenza nel mondo.
La città si serve di applicazioni di intelligenza artificiale e di sistemi algoritmici per il controllo automatizzato dei parcheggi o per dare priorità alle segnalazioni dei cittadini, anche attraverso lo strumento Open City per agevolare ed incentivare azioni di partecipazione sociale-digitale.
«Sogno una città che abbia spazi a sufficienza per tutti, una città con aree verdi e aree dedicate ai bambini per giocare in sicurezza. Sogno una città con aria pulita da respirare, dove le persone vogliono vivere, lavorare, rilassarsi. Oggi molte persone si spostano in città lasciando a casa la propria auto, alcuni decidono di non comprarla: il nostro compito è quello di supportare questo trend.
Ci sono buoni esempi che dimostrano come anche le eccellenti capacità imprenditoriali italiane possano dare vita a ecosistemi locali e a un indotto della conoscenza che portino benefici sui territori.
Si dovrebbe puntare sui parchi tecnologici, rafforzare la formazione che abbiamo invece tagliato con grande danno per le imprese, e puntare sulla creatività e la conoscenza.
Abbiamo visto come, pur vivendo in un mondo globale, a fronte della terribile sfida pandemica siamo stati allo stesso tempo divisi, perché ogni Paese, seppur interconnesso con gli altri, ha trattato l’emergenza in maniera molto individuale e indipendente, non tenendo conto delle complessità e delle connessioni economiche-politiche mondiali.
A questo punto, continuare a chiedersi se subire o costruire il nuovo futuro è d’obbligo, per far sì che a indebolirsi non sia la leadership comunitaria e collettiva che, invece di mantenere attivo il dialogo e la cooperazione, cederebbe il passo a egoismi sempre più marcati, all’isolazionismo e in alcuni casi ad una deriva autoritaria.
È tornata prepotentemente la dimensione locale, la realtà dei comuni e perfino dei quartieri o dei circondari, perché la qualità della vita si misura dove abitiamo. Il tema della sostenibilità s’impone su tutti, dando una declinazione locale anche a quella globalizzazione che aveva tentato di cancellare ogni differenza annegando ogni realtà in uno standard unico, una notte in cui “tutte le vacche sono nere”, per dirla con una celebre frase di Hegel.
Le città del futuro saranno sempre più declinate alla bioedilizia e a un’ecologia della felicità contro la solitudine delle grandi città. Malaga è un esempio di città innovativa sotto vari aspetti.
Tech Park diventerà un punto di riferimento per il modello di “economia circolare”, in cui l’uso delle risorse, la produzione di rifiuti e il consumo di energia sono ridotti al minimo riducendo i cicli dei materiali.
In particolare, nel parco tecnologico verranno promosse le energie rinnovabili attraverso parcheggi alimentati a energia solare. Tutti gli edifici del parco saranno inoltre dotati di impianti fotovoltaici, che dovrebbero coprire almeno il 25% del fabbisogno del parco. Inoltre, la superficie alberata sarà triplicata.
Ed è così che sulle spiagge nel Polo Nacional de Contenidos Digitales si possono trovare, oltre ai turisti, dipendenti di aziende creative che lavorano da un luogo sicuramente appetibile a molti. Questo sviluppo tecnologico, turistico e culturale ha permesso anche lo sviluppo di nuove start up interessate a questi settori.
I cambiamenti ambientali sono tra le questioni a cui più dobbiamo volgere lo sguardo e dobbiamo farlo anche come singoli cittadini, adottando delle routine quotidiane rispettose della natura e dell’ecosistema, consentendo una vita migliore.
Nuove competenze per disegnare il futuro
È necessaria una convergenza di competenze ambientali, utilizzo dei big data, health organization, capacità di decisione, ascolto attivo, empatia. Queste ultime sono le cosiddette soft skills che dovremo assolutamente sviluppare nel futuro prossimo con molta attenzione se vorremo gestire con efficacia le organizzazioni a tutti i livelli. Un dato di fatto incontrovertibile è che la ridefinizione delle priorità dovrà essere sia individuale che collettiva e, soprattutto, il futuro è di chi saprà adottare uno stile di leadership diffusa.
Walter Isaacson, nella sua monumentale biografia uscita recentemente sulla figura di Elon Musk, nel parlare della Tesla cita una riflessione importante di Steve Jobs sul significato di design: “Nel vocabolario dei più, design significa apparenza. Per me non ci potrebbe essere niente di più lontano dal vero significato di design. Il design è l’anima che si trova nel cuore di un oggetto creato dall’uomo e che gradualmente si estrinseca in piani esteriori”.
Il Prof. Panzarani cita Henri Bergson: “L’umanità ha bisogno di un supplemento d’anima perché la stessa diventi più umana”, ed è proprio questo supplemento che abbiamo scoperto in tutti i casi illustrati nel nostro arcipelago, il futuro è dunque nelle nostre mani di “designer”, non facciamolo scappare e mettiamoci l’anima.
E ci sarà anche un nuovo capitalismo, che utilizzerà il “metodo Musk”.
Elon Musk raggiunge i propri obiettivi per tentativi ed errori. Quello che ha chiesto ai suoi tecnici, all’inizio della vicenda di Space X, è indicativo: voleva portare al limite i razzi in modo da farli scoppiare e imparare dove erano i loro punti deboli.
Non erano errori, era ricerca. Non erano discrepanze tra promesse e realizzazioni, ma tra ipotesi e risultati sperimentali. Certo, non è un modo ortodosso di fare l’imprenditore. E infatti Musk non ha molti imitatori.
Da un certo punto di vista, Musk prosegue e accentua l’idea di un mondo di aziende autoreferenziali nella creazione del proprio destino, ben disposte nei confronti dello Stato quando si tratta di ottenere commesse e fatturato, ma insofferenti per le regole definite dallo Stato stesso nella gestione del personale o nei limiti definiti dai regolatori del mercato finanziario, appellati senza pudore “bastardi” in un’intervista per TED.
Se in Europa sapremo cogliere questo nuovo modo di fare impresa, modulando il capitalismo, in un’ottica multipolare, potremo raggiungere successi e sconfitte, ma non rimarremo certo indietro o alla finestra, come spesso accade.