Il malessere giovanile dell’instagram
Per introdurre questo articolo ritengo necessario evocare rapidamente un autore inglese rivisitandone la questione che lo ha reso più celebre: essere o non essere?
Ai fini dell’articolo, la domanda di shakespeariana memoria potrebbe essere riformulata in questi termini: credere o non credere alle coincidenze?
È questo il quesito che è germogliato nella mia mente quando mi è capitato di vedere un libro dal titolo bizzarro e probabilmente poco invitante, esposto con la copertina rivolta verso il lettore, di modo che l’invito a portarselo sottobraccio in cassa fosse più che evidente; la strategia di marketing ha funzionato, ben fatto direi! Almeno con me ci sono riusciti.
“Note sul suicidio”
Ma sorvoliamo questo cianciare. Il pensiero di fondo che leggerete più avanti abitava queste righe già da tempo, molto prima che iniziassi a scrivere questo articolo e molto prima che il libro di Simon Critchley, Note sul suicidio, mi ipnotizzasse; il suo contenuto è stato un impulso, un contributo importante per la crescita di questo scritto.
Critchley, lontanamente da quanto possiate pensare, non esalta il suicidio, non scrive un panegirico del gesto fatale, non è un invito a prenderci per mano e a camminare verso il tramonto dell’esistenza, come ultimo epico rendez-vous dell’intera umanità, autoconvintasi di un inevitabile destino che è stato crocifisso alle estremità di questo fardello chiamato nichilismo negativo.
Tuttavia, contrariamente a quanto potrebbe seguire nel vostro ragionamento logico, Critchley mette le mani avanti affinché la sua esposizione non s-cada nel meccanismo logico del fraintendimento, evitando in tal maniera di essere dipinto come partigiano della sponda opposta, alfiere della morale del diritto ampiamente abusata e instupidita dal dibattito pubblico, che vorrebbe l’applicazione della libertà di scegliere in qualsiasi campo dello scibile, anche quando si parla di lasciare la vita con piena consapevolezza. Insomma, Simon Critchley non siede da nessuna parte.
In medio stat virtus
L’autore inglese si pone su un piano diversamente intermedio, quasi non vuole assumere una posizione, non segue la locuzione latina «in medio stat virtus». Critchley espone il suo punto di vista attraverso l’osservazione di fatti storici oggettivi, interpretazioni di autori altri, date intese come dati statistici – ma grazie a Dio i numeri sono pochi – e personaggi, noti e meno noti, suicidi e aspiranti suicidi. È una lettura sufficientemente pregna, ma non esaustiva, una carezza invitante, che vi spinge delicatamente a sondare questo terreno per indagarlo e sviscerarlo in profondità; una prospettiva formata da indefiniti punti di vista. Il dato rilevante che emerge, e che mi ha permesso di ricollegarmi a questo breve e agile saggio, coinvolge una dimensione altra, quell’universo che equivale ad una vita irreale che spesso interseca la vita reale: la galassia social.
Esiste un rapporto tra l’abuso dei social media e gli sbalzi d’umore, i comportamenti come l’autolesionismo, i pensieri sucidi e il suicidio. Negli ultimi anni, a partire dagli anni ’10 di questo secolo sono state condotte delle indagini di ricerca per quanto concerne la relazione tra i comportamenti sociali e le nuove tecnologie, e nel caso specifico i social media.
Il suicidio una depressione grave
Tra i comportamenti sociali si annovera il pensiero suicida, corollario di una forma di depressione grave (MDE) che colpisce tutte le fasce d’età, anche se a farne una maggiore spesa sono i giovani, e in particolare le ragazze. Il rapporto di causa-effetto tra l’uso dei social media e il suicidio non è stato ancora accertato, ma esiste indubbiamente l’aumento di atteggiamenti e propensioni suicide tra le nuove generazioni, una categoria sociale immersa nell’universo dei social ma anche più debole e quindi più afflitta, poiché carente degli strumenti culturali necessari per affrontare le problematiche determinate dal loro ampio utilizzo.
Io credo che l’abuso eccessivo derivi da una malsana idea d’imperfezione, e non del mondo, bensì di noi stessi. Siamo portati a proiettare su di noi un’immagine sconvolta, rovesciata, che rovina l’autopercezione di ciò che è reale; un’immagine sbagliata che guida i nostri desideri pretenziosi di perfezionare il tutto, anche a costo di stravolgere lo stato d’animo e l’equilibrio mentale, pur di adattarsi ad una galassia fittizia e bugiarda come Instagram, prendendo una realtà “qualunque”. Dobbiamo necessariamente risultare sempre perfetti, questo richiede il sistema in cui viviamo. E se il sistema ci offre modelli migliori, noi dobbiamo obbedire, consciamente o inconsciamente, a quel formulario di criteri per ricevere il patentino che convalida la nostra persona.
Il mondo delle meraviglie
Assurto al ruolo di vera estensione della vita umana, prolungamento esistenziale e inevitabilmente irrinunciabile per molti dei suoi fruitori, il mondo delle meraviglie di Instagram, questa fabbrica di cioccolato di dahliana memoria è il luogo dove si manifesta una forma di dipendenza tossica che genera profondi stati di depressione e complessi di inferiorità, che vengono alimentati dall’invidia di chi si autoconvince, sbagliando, che la propria vita è qualcosa di meno rispetto alle esistenze altrui.
È la vetrina delle vite luccicanti, imbellettate e infiocchettate, vite che si dissetano all’ombra di una palma lungo una spiaggia paradisiaca, mostrando sorrisi, rocce, tetti di nuvole, banali piatti di pasta corredati delle più svariate policromie, bevande architettoniche e corpi. Questo grado di ostentazione non dovrebbe esistere, è un vortice infame che ricerca il proprio sostentamento nella costante richiesta di altra ostentazione, sempre più in vista; una vita che deve essere sempre superiore a quella degli altri, più bella e più appariscente.
La distruzione dell’autostima
Questa forma di corrosione interiore è un vero danno per la persona, la quale rischia di covare nel profondo un sentimento di ingiustizia che è spesso celato nel subconscio ma è vivo, poiché questi sentimenti non si palesano necessariamente ma spesso lavorano segretamente avviando processi di malessere che possono emergere lentamente e stabilizzarsi in superficie.
Questa è la parte malsana della piattaforma, lo schifo che alimenta la distruzione dell’autostima nelle persone, in particolare nella fascia giovanile, sferzati e abbattuti da una vera e propria piena di immagini che generano sofferenza e preoccupanti stati d’animo in corpi già vacillanti e messi a dura prova dall’incertezza proiettata verso il futuro.
Una forma di questo malessere si esprime nei termini di quella tremenda sensazione che la tua vita vada incontro a un destino di autocommiserazione mescolato ad un pessimismo cosmico, una miscela in grado di imprimere forza nello stantuffo della siringa provocando un’overdose di autodistruzione narcisistica.
Rabbia e depressione
Quella collerica sensazione che l’intorno a te inizia a subire un processo di svalutazione valoriale, fino all’inaridimento delle emozioni. Le lenti attraverso le quali osservi il mondo sono crepate, inutili, così come inutile senti te stesso, e allora solo la rabbia e la depressione ti assalgono come corsari all’arrembaggio di un galeone colmo di ori e preziosi, anche se di prezioso, in te, non è restato nulla. È tutto in mare.
Avete mai percepito questa sensazione? Simon Critchley parla di comportamento sociale autodistruttivo o autoannientamento, di «gesto violento di sovranità». L’atto finale di dissoluzione dell’io, mortificato in nome dell’”io” che deve stare necessariamente bene, nonostante quel campanello d’allarme che qualcosa non funziona; dell’io che sto meglio di te che guardi quello che faccio.
Sì, io mi metto in mostra, sotto ogni aspetto, e lo rivendico, perché la mia vita funziona diversamente dalla tua. Una realtà che esprime il mondo dei social suscita tutto questo, ed è una pena. È un aspetto che dovrebbe essere tenuto in considerazione, perché l’aumento di casi di depressione tra i giovani e gli atteggiamenti di autolesionismo e propensioni suicide non sono un banale scherzo che si può modificare attraverso qualche filtro.
Riccardo Giovannetti
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