Il giro di vite di Carlo Nordio alla giustizia – Tra coloro che si erano appassionati al toto-nomi, quando era in gestazione il governo nascente di Giorgia Meloni, non pochi erano quelli che pensavano che le proposte più radicali e rivoluzionarie sarebbero state avanzate, se nominato, da Carlo Nordio.
Onestà intellettuale
L’ex-magistrato ed ex-pubblico ministero, infatti, anche nella sua precedente attività, oltre a una competenza e una serietà non scontate anche tra gli altri componenti della sua categoria, aveva dimostrato di avere un’imparzialità e un’onestà intellettuali di non poco momento. E i fatti di queste ore confermano questo giudizio. Illustrando alla Commissione Giustizia del Senato le linee guida delle riforme che intende promuovere, Nordio ha puntato l’indice, anzi, ha denunciato quello che, dalla Costituzione ai suoi esegeti più strumentali, hanno sempre declinato come un dogma intangibile: la “obbligatorietà dell’azione penale”.
Arginare lo strapotere del Pubblico Ministero
L’articolo 112 della Costituzione, dove questo principio è cristallizzato, è solo apparentemente chiaro e semplice: “Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale”. Un’unica frase di sole 11 parole, senza segni di interpunzione: cosa ci sarà mai di equivoco? Appunto, come ha detto Nordio, che, interpretata maliziosamente, il pubblico ministero è autorizzato – per di più nella massima autonomia e indipendenza in cui agisce questa figura nell’attuale ordinamento – a indagare su qualsiasi cosa o aspetto del vivere, basta che inquadri, anche solo in via di sospetto, un fatto, una situazione, un’azione nel perimetro di una qualsiasi delle fattispecie di reato previste dal Codice.
L’obbligo di azione penale
Di più: avendo l’obbligo di esercitare l’azione penale su ogni “fascicolo” aperto, senza che esista una gerarchizzazione dei reati, della loro pericolosità oggettiva o della “percezione di insicurezza” che determinano nella società, di fatto il Procuratore della Repubblica di un distretto giudiziario, ma anche il semplice “sostituto pubblico ministero”, possono decidere quali reati perseguire e a quali pratiche far accumulare polvere negli armadi: l’obbligo normativo di perseguire tutto determina la discrezionalità concreta di fare indagine su questo, invece che su quello. Il giorno è fatto di 24 ore per tutti, del resto, e le risorse sono quelle che sono, senza tenere conto del fatto che la propensione al lavoro di buona parte dei magistrati – come amava ripetere un magistrato di grande levatura quale fu Antonio Alibrandi- è scarsa -.
L’esempio americano
In America, è proprio sulla intenzione di combattere determinati crimini piuttosto di altri, che si gioca l’elezione un candidato procuratore. E la riconferma se la gioca non solo sui risultati ottenuti effettivamente, ma anche sui costi che ha sostenuto per ottenerli. Anche quel sistema non è privo di controindicazioni, anche gravi, ma una via di mezzo si può certamente trovare tra il controllo popolare della pubblica accusa, che esiste negli Usa, e la dimensione di “incontestabile gestore” della sicurezza e dei reati, come di fatto accade in Italia. Una “via di mezzo” che si può trovare se, contrariamente a quanto accaduto con la proposta di “Commissione parlamentare sulla gestione della Pandemia”, sul “contante”, sui “rave”, non ci si impressiona e non ci si spaventa subito delle reazioni – in particolare quelli della “casta dei togati” – che, in questo caso, si annunciano ben più furibonde.