Il balletto del MES lontano dai riflettori – Lontano dall’attenzione mediatica del grande pubblico, sta continuando il balletto sulla ratifica-non ratifica del MES da parte del governo.
Tra frenate e ripartenze del governo Meloni a questo riguardo (Meloni che in altri tempi si era sperticata per dire che lei mai e poi mai avrebbe approvato il famigerato strumento di Francoforte), a quanto traspare, sembrerebbe che il ministro Giorgetti stia cercando di far leva sull’ambiguità italiana per spuntare qualcosa a Bruxelles in sede di negoziazione circa il nuovo Patto di Stabilità e in sede del progetto (che si trascina da anni e anni) di unione bancaria, in particolare a riguardo dello schema di garanzia unico sui depositi (European Deposit Insurance Scheme, o EDIS) che a tendere dovrebbe inglobare e sostituire i fondi e gli schemi di garanzia nazionali.
Vagiti da FDI
Indubbiamente l’approccio negoziale di Giorgetti e della Meloni è un accenno a qualcosa di meglio rispetto ai precedenti approcci targati PD, secondo i quali a Bruxelles e a Francoforte si va per prendere ordini e direttive e basta, le quali, tornando in Italia, si applicano con religiosa attenzione e deferenza senza discussione alcuna.
Apprezzabile, quindi, astrattamente lo sforzo di cercare di spuntare qualcosa per l’Italia. Tuttavia, nella realtà dei fatti, si vede come anche questo tentativo rischi di apparire o velleitario o addirittura controproducente.
Velleitario perché il commissario per gli affari economici Dombrovskis ha fatto subito presente che “non esistono margini di trattiva” sul nuovo Patto di Stabilità, dando l’impressione di aspettarsi che gli Stati Membri, Italia inclusa, accettino supinamente le nuove norme del Patto; che prevedono, tra le altre cose, norme per avviare in automatico procedure di infrazione con uno Stato Membro, in caso di violazione dei vincoli fiscali imposti.
Basta bocciarlo
Se così stanno le cose, perché l’Italia dovrebbe continuare a indugiare? Il MES non è uno strumento considerato utile e conveniente per l’Italia? lo si bocci definitivamente e si chiuda la questione.
Se il nuovo Patto di Stabilità non è di gradimento all’Italia, lo si veti e si passi ad altro.
Sullo stesso tenore di Dombrovskis, per altro, le uscite del ministro tedesco delle finanze, il liberale Lindner, il quale ha rifiutato l’approccio italiano sostenendo che non vadano mischiati i differenti dossier ed esprimendo perplessità sulla proposta della Commissione in tema di garanzia comune dei depositi bancari.
In questo caso, per l’appunto, l’approccio italiano, volto a chiedere la garanzia comune e a vincere le reticenze tedesche in materia, rischia di essere controproducente dal momento che il completamento (o l’avvio verso il completamento) del progetto di unione bancaria significherebbe un ulteriore passo versa una UE federalizzata ovvero verso un modello di Unione concepito come superstato e non come organizzazione di collaborazione tra Stati Sovrani.
È questo l’obbiettivo che un governo di destra, supposto interessato a difendere “l’interesse nazionale” composto da “patrioti”, dovrebbe perseguire?
Scongiurare il pericolo dell’unione bancaria
Per altro, al di là di queste considerazioni, l’unione bancaria potrebbe risultare rischiosa per l’Italia anche sotto altri e più peculiari aspetti.
Il presupposto, infatti, che siano le banche italiane le malate d’Europa, potrebbe non essere poi così vero.
Il sistema bancario italiano ha già assorbito una decina d’anni di rigore e di pulitura dei bilanci dai crediti deteriorati e il peso di una rara occhiuta severità da parte del supervisore europeo.
Gli istituti più deboli sono già incorsi nelle forche caduti del SRM (Single Resolution Mechanism), con applicazione dell’infausto “bail-in”, vedi ad esempio le varie Banca Popolare di Vicenza, Veneto Banca, Carige o, sebbene con variazioni Monte dei Paschi di Siena, e altre minori.
Due pesi e due misure
Gli stessi rigori ovviamente non furono applicati alle landsbank tedesche e agli altri istituiti europei coinvolti nella crisi dei derivati del 2008.
La severità applicata agli istituti italiani dal regolatore europeo non è mai stata applicata alle banche del Nord Europa (vedi ad esempio il caso Deutsche Bank, infarcita di “titoli tossici” fin dal 2007 e che mai è stata attenzionata da Francoforte), su cui, quindi, forse non è così saggio scommettere in termini di solidità.
Siamo perciò sicuri che qualora, in un prossimo futuro, si debba attingere alle risorse EDIS per tamponare una nuova crisi bancaria, queste risorse non vadano a beneficio delle banche nostre quanto di quelle dei paesi cosiddetti “frugali” e “virtuosi”?
Filippo Deidda