GMG: gioventù cristiana in marcia pt.3 – Il 4 agosto tornai sul campo insieme ai miei compagni pellegrini.
Iniziammo con la Messa e le confessioni a Carnaxide insieme ai pellegrini di Mantova e di Perugia. Dopo le Confessioni avremmo dovuto tutti concentrarci in un momento di meditazione.
E in effetti io, dopo due giorni di riposo, ci riuscii.
Molti dei miei compagni invece, che macinavano chilometri sotto il sole da giorni, cedettero sfiniti al sonno. Si cominciava a percepire la pesante stanchezza accumulata in tutti quei giorni. Ma, fino all’ultimo giorno, non perdemmo mai l’entusiasmo.
Quel giorno accorremmo sotto forma di colorata e festosa fiumana al Parque Eduarde VII di Lisbona dove il Papa ci avrebbe guidati nel gesto della Via Crucis.
In Svezia si alza la Croce
Eravamo 800.000 e recavamo bandiere di ogni paese. Avendo una passione inusuale per la vessillologia ero in grado di riconoscerle quasi tutte. E potrete immaginare il mio stupore quando vidi, vicino al nostro gruppo, una grande bandiera svedese. “Svedesi Cattolici?? Questa devo vederla!” pensai.
Mi avvicinai a loro con rispetto e cordialità e riuscii a parlare con Ekil, un ragazzo svedese, per saperne di più sulla loro storia e sulla situazione della Santa Fede nel paese scandinavo. Il mio interlocutore mi rivelò che il gruppo lì presente era abbastanza nutrito e si aggirava attorno alle 160 persone.
Mi disse che inizialmente i cattolici in Svezia erano solo Polacchi e Lituani lì emigrati ma, sorridendo radioso, mi disse che il Cattolicesimo aveva iniziato a fare breccia anche nei cuori degli Svedesi Doc e che molti erano i convertiti.
Lui e un suo amico lì presente erano due dei molti casi. Delusi dal Luteranesimo Ultraliberale o dall’Ateismo Nichilista, avevano trovato risposte nel Cattolicesimo.
Ekil mi disse fiero (e ne aveva ben donde) che la Chiesa Cattolica era l’unica chiesa che stava crescendo (seppur in modo contenuto) in Svezia.
Me ne andai felice e pieno di speranza per quella buona notizia.
La Via Crucis
Iniziò la Via Crucis e dopo ogni stazione veniva diffusa dagli altoparlanti le testimonianze di alcuni nostri coetanei che, ognuno nella loro lingua, portavano testimonianze delle loro lotte contro i disagi giovanili: droghe, alcool, disturbi mentali, condotte sessuali sbagliate, ecc.
Avendo vissuto sulla mia pelle molti orrori del Nichilismo Moderno mi sentii profondamente capito e amato. Mi sentivo osservato nella mia fragilità e incoraggiato a seguire una nuova vita cristiana.
Fu emozionante. E lo capii dall’aria intrisa di emozione e lacrime che mi circondava.
Questo aspetto era il quarto elemento di rottura col mondo ateo che mi circondava: in mezzo alla mia comunità, in mezzo alla “Gioventù del Papa” (come amavamo scandire battendo le mani) potevo essere davvero me stesso.
Nessuna moda da seguire, nessuna maschera da indossare, nessun timore di essere giudicato: in quei giorni ero stato aperto sul mio passato difficile con un sacco di fratelli e di sorelle.
E loro lo erano stati con me.
E quelle confessioni intime e potenti avevano creato tra noi legami di assoluta fiducia e affetto.
L’arrivo a Lisbona
Il giorno successivo mi risvegliai fresco dei miei 26 anni appena compiuti e mi misi in viaggio con la mia allegra e sfinita compagnia verso l’immenso Parque Tejo dove avremmo concluso la nostra esperienza insieme a tutti i Pellegrini accorsi in Portogallo.
Dopo un viaggio in pullman e una sfacchinata di 2 ore sotto il sole arrivammo nel settore A13 del Parco, sulla sponda del Golfo di Lisbona e non troppo distanti dal Palco.
Eravamo un milione e mezzo. Davanti al mio sguardo si estendevano circa 14 km di settori straripanti di ragazzi e ragazze di tutto il Mondo.
In un video che feci per immortalare tutta quella folla immensa notai che sul ponte che portava al Parco, che noi avevamo passato tre ore prima, stavano ancora transitando centinaia di persone.
Nonostante avessi già vissuto molto nella mia giovane vita ero sicuro di non aver mai visto niente del genere.
C’erano 36° e fu difficile sopportare la lunga permanenza sotto il sole cocente ma tra gavettoni, risate e giochi passammo il tempo.
Tutto il gruppo mi festeggiò come aveva festeggiato tutti i compleanni precedenti avvenuti in GMG: con un Plumcake decorato da una candelina e un festoso “Tanti auguri a te” scandito con le mani.
Verso sera, dopo uno spettacolo di luci che scriveva nel cielo gli slogan della GMG in varie lingue, il Papa ci fece il suo discorso riprendendo da San Giovanni Paolo II il famoso motto “Non abbiate paura”.
Era ahimè forse ancora più attuale di allora. Dopo il discorso del Pontefice ci fu la Messa e infine l’Adorazione del Santissimo.
Ci infilammo sfiniti nei sacchi a pelo cercando di prendere sonno sulla terra nuda e dura.
Il ritorno a casa
Dopo qualche ora di sonno rubato fui svegliato dalla musica diffusa dagli altoparlanti e dai brontolii degli sfatti pellegrini. Mi misi seduto e mi stropicciai gli occhi confuso.
Poi fissai il mio sguardo verso l’orizzonte e rimasi meravigliato e sopraffatto dalla bellezza mozzafiato dell’aurora che accendeva il cielo. Non avevo mai visto qualcosa di tanto potente e commovente.
Mi guardai: la barba lunga e incolta, i capelli ispidi, i vestiti sporchi e spiegazzati, le scarpe luride per il tanto cammino.
Eppure, quel Sole sembrava essere Dio stesso che, sorridendo, mi diceva: “Ti amo figlio mio! Anche se così sporco e misero!”
Restai un po’ sorpreso dalla musica che ascoltavo e dalle cose che vedevo: musica disco in salsa cristiana, sacerdoti dj e rock band cattoliche.
Non era esattamente il mio stile.
Tuttavia, mi lasciai trasportare dal clima di festa e mi divertii.
Prima della Celebrazione decidi di dare una letta alle notizie del giorno sul cellulare e rimasi profondamente disgustato da un articolo del Messaggero, a proposito della GMG, che riportava la notizia di oltre 600 casi di malore dovuti al caldo e sopra un lapidario virgolettato: “Qui è un inferno.”
Non potei pensare che certa stampa non riuscisse proprio a esimersi dallo sputare fango su ogni manifestazione cattolica possibile.
Non sapevo chi avesse rilasciato quella dichiarazione ma era evidente che seicento lievi malori avvenuti su un totale di un milione e mezzo di persone era abbastanza normale.
E quel luogo tutto pareva tranne un inferno.
Decisi di spegnere il cellulare.
Poi la Santa Messa e le ultime raccomandazioni del Papa: “Non fissate il fratello dall’alto in basso e ricordate che Gesù vi conosce veramente. In tutti i vostri dolori e le vostre gioie, in tutti i successi e i fallimenti”
Poi lentamente defluimmo via dal Parco e ci avviammo verso i pullman.
Saliti sul mezzo, dopo due ore di estenuante scarpinata, ci abbandonammo allo “svacco” più totale dormendo nelle posizioni più impensabili in un disordinato e felice marasma di zaini, scarpe e cianfrusaglie buttate in ogni dove.
Avevamo superato tutti i nostri limiti.
Eravamo sporchi, sudati e disidratati.
Ci aspettavano 26 ore di viaggio prima di poter tornare a casa e riabbracciare le nostre famiglie e le nostre comodità.
Eppure, tutti pensavamo la stessa cosa: “Cavolo! Quanto vorrei andare a Seul tra quattro anni!”
Il Megafono cattolico