Gli omicidi che non piacciono alla sinistra – Ad Ostia lo scorso 9 giugno, una ragazzina sarebbe stata palpeggiata nelle parti intime da un uomo di origini indiane mentre stava rincasando.
Nonostante lo choc, la piccola vittima è fuggita raccontando tutto ai genitori che l’hanno soccorsa e portata in ospedale, al Bambino Gesù, dove le sono state riscontrate delle lesioni. La sera stessa, la famiglia ha denunciato il reato ai carabinieri che hanno avviato la ricerca del colpevole.
Esasperazione generale
Ma, nonostante la denuncia, la mattina seguente il padre della ragazzina ha cercato l’uomo, che lavorava in un distributore di benzina, picchiandolo con un tubo di ferro e poi autodenunciarsi ai carabinieri, dichiarando di aver pestato l’aggressore che aveva fatto del male a sua figlia.
Oltre al danno la beffa, visto che il padre, oltre ad aver lui stesso commesso un reato essendosi fatto giustizia da solo, ha malmenato l’uomo sbagliato che era solo un conoscente del vero violento.
Episodi minimizzati o taciuti
Una ragazzina molestata e gettata nel dimenticatoio di chi, in questi giorni, ha gridato alla mascolinità tossica frutto della famiglia tradizionale e tipica caratteristica del maschio bianco.
Il che spiegherebbe anche l’assordante silenzio su un altro caso di violenza come quella consumata la sera del 9 giugno, a Padova, in Via Vivanti.
La vittima è una cittadina marocchina di trentasette anni, colpita più volte alla testa dal marito con un martello e a seguire ha cercato di colpirla con un coltello preso in cucina.
Una tragedia sfiorata
La violenza è avvenuta nell’abitazione dei genitori della donna dove l’uomo si era introdotto, mentre la vittima era in attesa del ritorno dei figli da scuola.
Una tragedia sfiorata grazie all’intervento del padre di lei, che ha disarmato l’uomo, facendo in modo che la figlia riuscisse a scappare.
L’ aggressore, un cittadino marocchino di 43 anni, regolare sul territorio, è stato tratto in arresto per tentato omicidio, su disposizione del Pm di turno, ed è stato portato in carcere.
In Francia le cose vanno selvaggiamente
Un silenzio sinistro che avvolge un altro orrore, quello di Shaïna Hansye, una studentessa di 15 anni, incinta da appena dieci giorni, barbaramente uccisa dal fidanzato, Ousmane (nome poi cambiato), all’epoca diciassettenne.
Quest’ultimo l’aveva colpita dieci volte con un coltello, e poi, ne aveva bruciato il corpo.
Dall’autopsia era emerso un altro macabro dettaglio: la giovane donna respirava ancora, nel momento in cui il suo corpo veniva avvolto dalle fiamme.
Il feroce assassinio era avvenuto il 25 ottobre 2019 a Creil, nel nord della Francia.
Un orrore che aveva sconvolto tutta la Francia e al quale si aggiunge una giustizia che lascia l’amaro in bocca visto che qualche giorno fa è arrivata la sentenza di condanna per l’assassino, che oggi ha 20 anni, a soli 18 anni di carcere.
Così ha stabilito la corte d’assise per i minori dell’Oise.
Un verdetto che ha indignato i familiari della vittima. Un verdetto che viene emesso quando l’Italia vive il lutto di una donna incinta barbaramente assassinata dal padre di suo figlio.
Un problema innanzitutto culturale
Sulla base di queste atrocità, accompagnate da un silenzio altrettanto raccapricciante, si ha la conferma che il fenomeno sempre più dilagante dei femminicidi non deriva solo da una falla giuridica ma anche culturale.
Una cultura che non riguarda solo il maschio incapace di amare, e di essere adulto, ma che comprende anche un’indignazione ad intermittenza da parte di una certa sinistra.
Un’ indignazione intrisa di misandria e razzismo, in quanto non condanna l’uomo che commette violenza sulle donne ma il maschio bianco ed etero che si macchia di simili abomini sull’universo in rosa, tralasciando per svista o malafede la parte restante dei carnefici che hanno un colore della pelle diverso.
Nemes Sicari