Giustizia 2.0 – Dopo il “c*zzo” apparso nel dispositivo di una sentenza della Suprema Corte, pubblicata in un massimario, la giustizia italiana si è cimentata in un’altra non commendevole performance.
Ne ha dato notizia “Il dubbio”, il giornale dell’avvocatura nazionale.
In un atto di convocazione a un’udienza penale in camera di consiglio, appare l’avvertimento “la presenza dei difensori non è obbligatoria”. Il che è processualmente corretto in quel rito.
Il punto è che la formula è seguita da un ulteriore avviso, del tutto anomalo; detto in breve, se la persona indagata vuole fare a meno del legale e non intenda retribuire quello d’ufficio “contatti il difensore come sopra nominato e lo inviti espressamente e formalmente, a mezzo posta elettronica certificata o racc. A.R. o in altro documentato modo, a non comparire all’udienza fissata ed in generale a non svolgere alcuna attività difensiva”.
Faso tuto mi
Una simile comunicazione è quantomeno bizzarra – e ha infatti sollevato varie proteste in seno all’avvocatura – poiché mette sullo stesso piano l’interesse dell’accusato a non sborsare quattrini – il che può anche avere una sua dignità pratica – con l’idea che la presenza di un difensore, sia pure d’ufficio, non è poi così importante nell’economia processuale e se ne può quindi fare a meno.
Che in alcuni casi la presenza di un avvocato sia meramente simbolica è verissimo ma l’eccezione non fa la regola e, soprattutto, non può stravolgere il principio insuperabile e costituzionalmente garantito della difesa non solo come diritto individuale (dell’imputato a vedersi assistere da un soggetto tecnicamente competente in una procedura spesso insidiosa) ma come contributo al raggiungimento della giustizia sostanziale.
Non ci si deve, però, meravigliare più di tanto. In tempi recenti il manettaro dott.Davigo – non un quisque de populo ma un magistrato eletto al CSM – aveva manifestato l’idea dell’inutilità del ruolo dell’avvocato nei processi.
Bastano loro a fare giustizia.
Oppositore al sistema
Effettivamente, la figura dell’avvocato non gode di grande stampa. Un’idea comune lo vede come un azzeccagarbugli, un profittatore, un mestierante; un’altra, forgiata da una mentalità forcaiola, lo inquadra come il consigliori dei potenti, pronto, grazie ai più opachi cavilli processuali, a far slittare processi e strappare prescrizioni.
Pochi considerano, invece, che l’avvocato è stato spesso protagonista di battaglie contro il sistema – totalitario o democratico che fosse – i suoi abusi e i suoi attentati alla libertà. Che a spingere molti a cimentarsi nelle aule dei tribunali non è la sete di gloria o ricchezza ma quella di giustizia.
Vogliamo forse dimenticare che José Antonio Primo de Rivera, patriota di Spagna, era un avvocato e che anche il “Mahatma” Gandhi, profeta della libertà del suo paese, lo era? E pure il giovane Fidel Castro, autorizzato dalla corte che lo giudicava per i fatti di Moncada – la sollevazione armata contro il regime di Batista – a difendersi in nome della libertà di Cuba (salvo poi finire risucchiato dall’Urss e dalla sua brama di potere personale, ma questa è un’altra storia) vestiva la toga.
E ho conosciuto personalmente tanti galantuomini, animati da sete di giustizia e di verità, difendere gratuitamente, soli contro tutti, i disgraziati, gli ultimi e i dannati.
Ci penseranno gli algoritmi
Chissà, arriverà il momento in cui a indirizzare la decisione non sarà l’intelligenza, il valore, l’umanità e l’esperienza di un difensore, ma il freddo calcolo statistico di un elaboratore elettronico, cui saranno forniti tutti i dati necessari alla valutazione del caso.
Collocato sullo scranno a fianco del magistrato o del collegio, il marchingegno sputerà la sentenza su un tabulato e il giudicante, divenuto una sorta di notaio, apporrà la sua firma di avallo.
Fantascienza? Mica tanto. Basta vedere come nascono diverse argomentazioni della Procura generale bolognese negli ultimi processi sulla strage della stazione.
Finis iustitiae
Estratti con metodi telematici da una montagna di carte, elementi che possedevano tratti esteriori simili o comuni sono stati associati, ricuciti, elaborati e assemblati, in una consequenzialità apparentemente logica ma in realtà solo suggestiva, poiché sradicati della loro spiegazione interna del tutto indifferente, se non incompatibile, rispetto alla direzione loro imposta.
Nella stessa maniera in cui la pubblicità del salame denominato finocchiona è stata bandita, proprio grazie agli algoritmi, dal social Facebook.
Il metodo è il medesimo.
E allora, basta difensori, basta appelli, basta discussioni, basta intelligenza umana, basta sete di giustizia.
Roba vecchia, da legal-boomer.