Gilberto Cavallini: la condanna in primo grado è nulla – lo motivano gli avvocati dell’imputato
Seconda udienza del processo di appello a Gilberto Cavallini, il quale ha impugnato la condanna all’ergastolo rimediata nel 2021, con una sentenza a dir poco discutibile, specialmente nelle motivazioni che l’hanno sostanziata.
Anzi, si potrebbe dire prima udienza, visto che quella precedente è stata immediatamente interrotta, a causa dell’astensione nazionale dal lavoro proclamato dalle Camere penali italiane qualche settimana fa.
Sentenza nulla
Poco dopo le 9.30, Alessandro Pellegrini e Gabriele Bordoni, i quali hanno assunto la non facile difesa dell’imputato con la collaborazione anche di Mattia Finarelli, fanno risuonare in aule parole pesantissime: il primo grado e la condanna del loro assistito sono nulli, semplicemente nulli.
Non è l’incipit di una nuova linea difensiva che deve essere poi dipanata nella successiva discussione: è la richiesta alla Corte di Assise d’Appello di prendere atto che la precedente sentenza è stata emessa e firmata da alcuni giudici che non avrebbero potuto più esprimere alcun giudizio né firmare alcun verdetto.
Già, la legge è evidentemente poco noto e presa sotto gamba da non pochi presidenti di giuria, ma inequivocabile e non interpretabile diversamente: il giudice popolare, al compimento del 65° anno di età, cessa immediatamente le sue funzioni e, se il processo non è terminato, dev’essere sostituito.
Nel caso di Cavallini, sugli 8 giudici guidati da Leoni, dei sei “popolari” scelti per valutare gli indizi portati in aula dalla Procura e dalle parti civili, ben 4 si sono trovati in “fuori gioco” al momento di andare a rete.
Metà della giuria, due terzi della componente popolare: l’esito dev’essere cancellato e con l’esito tutto il procedimento che ha portato a quella conclusione.
I casi precedenti
La Giurisprudenza, fino a oggi, è stata univoca in materia: i casi analoghi in passato, anche nel recente passato, non sono stati moltissimi, ma neanche pochi e hanno portato la Cassazione ha decidere sempre allo stesso modo, annullando i processi.
Fra tre giorni, però, la Suprema corte è chiamata a decidere su un altro caso analogo, accaduto a Palermo; la possibilità che ci sia un’inversione di tendenza di 180° esiste, ma è chiaro come, a quel punto, non sarebbe sbagliato parlare della creazione di un nuovo istituto giuridico: la “interpretatio legis pro Bononia”.
Infatti, se non proprio scandaloso, sarebbe quanto meno sorprendente che un orientamento fin qui mai messo in discussione, fosse radicalmente cambiato solo per consentire di continuare il processo a carico di Cavallini, oltre a quello per cui la questione è stata sollevata in Cassazione, ovviamente.
Finale insoddisfacente
Poi, è chiaro: un finale del genere non può soddisfare nessuno, se non coloro – e solo parzialmente – i quali da anni denunciano l’eccessiva foga con cui, più che alla verità sulla Strage di Bologna, si mira alla moltiplicazione di condanne che – come è stato ammesso anche esplicitamente nell’ultima sentenza emessa a carico di Paolo Bellini – si fondano solo su indizi. Indizi che sono molteplici e univoci più per un atto di fede in queste loro presunte caratteristiche, piuttosto che per la natura intrinseca degli atti e degli elementi portati al dibattimento.
Dunque, cosa accadrà adesso?
Se la Cassazione non smentirà se stessa, semplicemente per Cavallini si azzererà tutto e sarà compito di altri pubblici ministeri decidere se riportarlo alla sbarra per le stesse accuse che gli sono valse, precedentemente, diverse archiviazioni della sua posizione; oppure, assisteremo a un secondo grado infuocato e speciale, poiché per la prima volta si discuterà in Appello una sentenza palesemente illegittima in primo.