Si avvicina il 10 febbraio, data del Giorno del Ricordo del massacro degli italiani compiuto dagli uomini del Maresciallo comunista Tito. Motivazione unica? L’odio rosso, razzista, antitaliano che giustifica la pulizia etnica.
Istituita con la legge 30 marzo 2004 n. 92, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 86 del 13 aprile 2004, vuole “conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale”.
Gli eccidi, brutali per modalità, avvennero durante e subito dopo la Seconda guerra mondiale da parte dei partigiani jugoslavi e dell’OZNA. Il nome deriva dai grandi inghiottitoi carsici (chiamati in Venezia Giulia “foibe”) dove furono gettati i corpi di alcune vittime (o, in alcuni casi, le stesse ancora in vita).
Memoria negata
Secondo gli storici Raoul Pupo e Roberto Spazzali le vittime in Venezia Giulia, nel Quarnaro e nella Dalmazia sono comprese tra le 3.000 e le 5.000 (comprese le salme recuperate e quelle stimate, nonché i morti nei campi di concentramento jugoslavi). Altre fonti invece fanno salire questo numero fino a 11.000.
L’idea delle foibe come storia rimossa e memoria negata continua ad avere seguito, a causa dell’oblio durato mezzo secolo, del poco spazio dedicato al fenomeno dalla manualistica, anche se non mancano servizi giornalistici, programmi televisivi, incontri celebrativi e di approfondimento, come anche lavori di tipo divulgativo o di rilievo storiografico (da Petacco a Molinari, da La Perna a Valdevit a Pupo e Spazzali).
L’operazione di Gianni Oliva, che si inserisce in un filone divulgativo con l’intento di aggiornare e ordinare gli eventi e l’assetto interpretativo, sembra riuscita proprio grazie all’uso estensivo di alcuni contributi storiografici, citati frequentemente nel testo (Pupo e Valdevit su tutti).
Appoggiandosi alla storiografia giuliana sul Novecento (Schiffrer, Apih, Collotti, Fogar, Matta, Vinci, oltre agli autori sopracitati), Oliva riesce ad offrire un quadro convincente delle violenze e a calarle in un contesto storico di lungo periodo.
Fascismo di confine
Il discorso sulle foibe viene inserito in una storia giuliana che parte dal “fascismo di confine” (cui è dedicato il secondo dei sette capitoli del libro) e si snoda attraverso gli avvenimenti della guerra in Jugoslavia e nella Venezia Giulia, fino alla creazione del Territorio Libero di Trieste.
L’autore si sofferma sulle foibe istriane del ’43 (terzo capitolo), ma anche su alcuni momenti chiave della guerra (e dell’acceso dibattito del dopoguerra) nell’area: l’occupazione e l’amministrazione tedesca dal ’43 al ’45 (l’Adriatisches Künstenland); la lotta di liberazione nella Venezia Giulia e le divisioni interne alla resistenza italiana (con una lunga digressione sull’episodio di Porzus); la “corsa per Trieste dell’Armata partigiana jugoslava e delle truppe alleate; l’occupazione di Trieste e la breve ma cruciale stagione di un’epurazione nazionale condotta con il tacito assenso dei comunisti italiani.
Convince il capitolo finale (“Dalle foibe alla linea Morgan”), grazie al quale acquistano una dimensione più ampia i racconti impressionanti degli infoibamenti, degli arresti e delle deportazioni della primavera del ’45, con cui l’autore apre il volume.
Per la cronaca dei “quaranta giorni di Trieste”, Oliva, oltre a memorie pubblicate, fa uso di alcuni documenti rintracciati nell’Archivio del Ministero degli Affari Esteri.
Violenze slave
Si avverte, a questo punto, la necessità di una ricerca di ampio respiro che sveli con maggior precisione e ampiezza documentaria la catena di ordini che lega le violenze ai centri di potere jugoslavo, come successo nel caso dei recenti studi sul “Grande terrore” sovietico degli anni Trenta.
Inoltre, nel libro di Oliva i riferimenti al contesto jugoslavo e internazionale sono quasi tutti mediati dalla storiografia giuliana, cosa che spiega anche, ma non giustifica, l’assenza di uno sguardo d’insieme sull’Europa centrale e orientale, terreno di altri fenomeni di violenza collettiva che andrebbero considerati e collegati.
Ciò che è importante rimanga nella memoria collettiva è che i frutti dell’ideologia comunista, condannata da Papa Leone XIII come “intrinsecamente perversa” sono sempre stati solo fame, repressione e morte.
La perversione di quanto successo con la tragedia delle Foibe sta nel fatto che fu una strategia mirata a colpire chiunque si opponesse all’annessione delle terre contese alla “nuova” Jugoslavia, per cui caddero collaborazionisti e repubblichini, ma anche membri del CLN, partigiani, comunisti, e soprattutto, tanti cittadini comuni, travolti dal clima di torbida violenza di quegli anni, scrive saggiamente Gianni Oliva per la Casa Editrice Oscar Mondadori, 2002.
Negazionismo
Il negazionismo di alcuni compagni contemporanei fa ribrezzo perché ancor più perverso. Ritenendo “giusta” l’uccisione di fascisti (per loro erano solo tali) si ricollegano alla narrativa delle Brigate Rosse negli anni di piombo, e purtroppo agli slogan di alcune manifestazioni attualissime, secondo cui “ammazzare un fascista non è reato”. Questo cinismo diabolico è ancora troppo tollerato dalle istituzioni, che si vorrebbero liberali.
“Quella delle “foibe” è una vera e propria operazione politico-culturale, che ha contribuito a creare o consolidare un senso comune anticomunista, e anti-antifascista, volto a favorire una memoria contraffatta”, afferma Angelo d’Orsi insieme ai colleghi Andrea Martocchia, Alessandra Kersevan, Claudia Cernigoi, Sandi Volk e Davide Conti.
“La menzogna viene propalata, ripetuta, ribadita, fino a che diventa senso comune”. “I telegiornali, i talk show, i “programmi di approfondimento”, i docufilm, le pseudo-memorie di pseudo-reduci o pseudo-esiliati, stanno realizzando una sorta di cortina fumogena, dietro la quale si erge come un totem (e insieme un tabù), “la foiba”: una sorta di gigantesco monumento alla menzogna”, ha scritto d’Orsi su ”Micromega”.
Omissioni
“Storia in Rete” del 2021 ricorda la vigliacca strage di 116 polesani a Vergarolla, avvenuta a guerra finita da più di un anno, o l’appoggio di migliaia di soldati italiani dopo l’armistizio del 1943 che combatterono contro i tedeschi nelle divisioni Italia e Garibaldi, lasciando ventimila morti sul campo, il sostegno aereo della Regia Aeronautica con la Balkan Air Force, le tonnellate di rifornimenti, divise, armi, munizioni, viveri forniti dal governo del Sud: non una parola, perché dopo tutto ciò il ringraziamento titino fu la conquista e l’occupazione militare di terre italiane per cultura e abitanti, le esecuzioni di massa, l’esodo di 350 mila italiani.
La costa istriana, Pola, Fiume, Rovigno, Pisino, Capodistria, Parenzo erano jugoslave esattamente quanto la provincia di Lubiana era italiana. Cioè, per nulla.
All’imperialismo italiano fece seguito un imperialismo jugoslavo che arrivò ad immaginare l’annessione alla Jugoslavia dell’intero Friuli sino al Tagliamento (la Slavia veneta), pretesa bloccata da Churchill e dalla presenza militare britannica prolungatasi sino al 1946 proprio in funzione di contrasto all’imperialismo titoista.
Contro le falsificazioni
Ebbene, contro i deliri di “qualche storico negazionista o riduzionista” (per usare la definizione del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella), e contro la falsificazione, il travisamento radicale della storia delle terre italiane annesse alla Jugoslavia, bene ha fatto la Regione Friuli VG a tagliare i fondi con l’apposita legge regionale ad alcune associazioni, e sarebbe auspicabile che tale legge da locale diventasse legge nazionale.
Soprattutto deve farsi sentire l’indignazione di ogni italiano, quando mentendo, decontestualizzando, con cifre sbagliate e citazioni inventate, si infangano le Forze Armate attribuendo loro crimini spesso inesistenti e tacendo ciò che ne scatenò le reazioni, per troppo tempo negate dalla storiografia nazionale.
Del resto, se, come qualcuno sostiene, il Fascismo non sarebbe un’opinione, ma un crimine, lo jugo-negazionismo non è storia, è una cretinata. E di infima levatura.
di Matteo Castagna
La veritá è che viviamo in una repubblica fondata sulla menzogna e sull’inganno. Le Foibe sono solo una di una lunga lista di falsità storiche, così lunga che l’italiano medio ha perso coscienza della propria identità storico-culturale.