Famiglia pakistana vessa la figlia adolescente: voleva essere occidentale – Calci, pugni e violenze verbali. Questo è quanto subiva una ragazzina di origini pakistane costretta a vivere secondo le regole imposte dalla sua famiglia di religione musulmana: non uscire di casa da sola, non vestire come una ragazza occidentale e non usare Instagram al punto che uno dei suoi due fratelli le aveva rotto lo smartphone.
La colpa della ragazza?
Aver mandato un messaggio di nascosto su quella piattaforma social.
Violenze commesse non solo da parte dei fratelli ma anche del padre, per mesi interi, portando la ragazzina all’esasperazione fino a confessare alla professoressa la violenza domestica subita quotidianamente.
La vicenda è avvenuta in Valsugana, in Trentino.
Un contesto di degrado
Secondo quanto riferito dal Corriere della Sera, sono intervenuti i carabinieri.
I militari sono stati allertati dal dirigente scolastico dell’istituto frequentato dalla minorenne.
Il giudice per le indagini preliminari di Trento ha emesso la misura cautelare del divieto di avvicinamento per il papà e i due fratelli con l’accusa di maltrattamenti in famiglia, lesioni e stalking. Il tutto dopo aver ascoltato la raccapricciante testimonianza della giovane vittima.
Dai racconti della ragazza sono emerse vicende inquietanti fatte di violenze fisiche e verbali consumate tra le mura domestiche. Una vera e propria prigione dove un minimo gesto della giovane bastava per scatenare la violenza dei suoi tre aguzzini.
Uno dei fratelli era arrivato al punto di pedinarla ovunque e la sottoponeva a costanti controlli. Lo stesso che le aveva impedito di usare i social, rompendole il telefono davanti ai suoi occhi e con tanto di minacce di morte.
L’accanimento dei fratelli
Non servire la cena, andare a scuola con vestiti non tradizionali o insistere per uscire con le amiche, erano condotte sufficienti per scatenare una furia indescrivibile sulla ragazza che veniva presa a calci e pugni sulla schiena. Ma la violenza non era solo fisica.
Infatti, nelle scorse settimane, uno dei due fratelli aveva minacciato la sorella di portarla in Pakistan, per costringerla a rispettare i canoni dell’ortodossia religiosa islamica e a sposarsi non appena fosse diventata maggiorenne.
Sarà proprio la prospettiva di un matrimonio combinato a portare la ragazza a raccontare tutto ad una professoressa della scuola che, a sua volta, ha allertato il preside.
Una confessione che porterà la giovanissima in una struttura protetta e lontana dai suoi aguzzini.
Il caso di Saman Abbas
Una confessione che ha portato ad evitare un altro caso Saman Abbas anch’essa pakistana. La diciottenne barbaramente uccisa dai suoi familiari per essersi opposta ad un matrimonio combinato ed aver voluto abbracciare lo stile di vita occidentale. In Italia secondo i dati rilevati dal ministero dell’Interno dall’entrata in vigore del Codice rosso: dal 2019 al 2021 sono stati rilevati 35 casi di matrimoni forzati.
Da questi dati, per quanto ancora parziali, emerge che l’85% delle vittime sono donne, di cui un terzo minorenni, e prevalentemente di origini straniere. La concentrazione maggiore dei casi rilevati è nelle regioni settentrionali, in particolare Emilia-Romagna e Lombardia.
Chi commette questi reati in Italia?
Dai dati del ministero dell’Interno relativi alle vittime straniere (il 64%) emerge che la nazionalità pakistana è quella prevalente (57%) poi quella albanese (10%) seguono (con un caso ciascuno) India, Bangladesh, Sri Lanka, Croazia, Polonia, Romania e Nigeria.
Pakistan, Bangladesh, India, Albania, Kossovo.
Sono Paesi che, sebbene abbiano leggi in materia, ad esempio, in Pakistan, la legge prevede i 18 anni d’età per le nozze e una casa rifugio in caso di matrimoni forzati.
Un problema culturale
La legge c’è ma non la cultura, basti pensare che in Pakistan ci sono 800 donne uccise all’anno per questa motivazione.
Un problema principalmente culturale che, a quanto pare, sembra non voler vedere chi si ostina a parlare di integrazione con chi versa in una cultura distante anni luce dal vivere civile occidentale e dai principi cardine del nostro ordinamento giuridico.
Nemes Sicari