Eugenetica: a quattro anni dalla morte di Alfie Evans – Il 28 aprile 2018 moriva, a soli due anni, Alfie Evans, un bambino di Liverpool con un disturbo neurodegenerativo non diagnosticato, in seguito scoperto essere un deficit nella transaminasi GABA.
L’équipe medica e i genitori del bambino erano in disaccordo sull’opportunità di mantenere il sistema di supporto vitale di Evans o di ritirarlo, dando così vita ad una battaglia legale, alla fine persa da questi ultimi.
Il supporto ventilazione venne rimosso il 23 aprile 2018 a seguito di una serie di appelli infruttuosi della famiglia di Alfie.
Purtroppo, la storia del piccolo di Liverpool non è un caso isolato infatti nell’agosto dell’anno scorso ci lasciava Archie Battersbee, il ragazzo britannico di 12 anni con danni cerebrali irreversibili dopo aver partecipato a una sfida telematica tra coetanei.
Anche qui non è mancata la battaglia legale sull’opportunità di continuare il suo sistema di supporto vitale.
I genitori di Archie Battersbee si erano appellati senza successo ai tribunali britannici e alla Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) contro l’interruzione del supporto vitale.
La tentazione eugenetica blustellata
Ma prima di Alfie e di Archie, ci sono state altre piccole vittime dell’eutanasia.
Come successo in Belgio su due bambini di 9 e 11 anni. Da quanto riportato dall’Independent le morti risalgono rispettivamente al 2016 e al 2017 ma sono emerse solo nel 2018 in un rapporto del CFCEE, la commissione che regola l’eutanasia nel paese.
In questi casi il medico deve accertare che la malattia del minore è fonte di grandi sofferenze per il soggetto e inguaribile. Poi il minore deve mettere per iscritto le sue volontà che vengono esaminate da degli psichiatri che stabiliscono che non ci sono influenze da terzi e ovviamente approvate dalla famiglia, nel caso in cui questa si opponga, infatti, non si può procedere alla pratica.
Belgio ed Olanda in prima fila
È così che funziona l’eutanasia sulle piccole vittime in Belgio, il primo paese ad averla applicata sui minori, seguito dall’Olanda che la prevede per tutti i bambini affetti da malattie incurabili.
Nei fatti, era già legale: per i neonati e per i minori di età compresa tra 12 e 16 anni previo consenso dei genitori, per i più grandi (fino a 18 anni) anche senza. Invece, lo scorso aprile, il governo di Mark Rutte ha annunciato che alla cosiddetta «dolce morte» potrà accedere chiunque abbia compiuto almeno un anno.
La svolta è stata presentata come un traguardo che sana un buco normativo e fa giustizia. In quanto vietare l’eutanasia solo agli under dodici creava disparità.
La condizione che ne legittima il ricorso è la diagnosi di una malattia gravissima, anomalie del cervello, del cuore o disordini metabolici, che causa dolore insopportabile. Non alleviabile neppure con le cure palliative. Una condizione che, secondo le autorità locali, colpisce tra i 5 e i 10 bambini all’anno.
La procedura dovrà ovviamente seguire delle regole ferree:
-assicurarsi che soluzione finale venga adeguatamente discussa con i genitori che devono esprimere il consenso.
-I medici, a loro volta, dovranno certificare che la sofferenza fisica sia insostenibile e consultare un professionista terzo, estraneo alla storia clinica del paziente, che dovrà valutare se tutti i criteri di conformità alla legge sono stati soddisfatti prima di rilasciare il “nulla osta”.
-Ogni caso verrà trattato da una commissione presieduta da un avvocato penalista.
A quanto pare la celebre frase “Chi salva una vita salva il mondo intero” vale solo se quella vita soddisfa le leggi del mercato ossia se produci: vivi, se non produci: muori.
Dura lex, sed lex.
Rita Lazzaro