E che c***o! – Era il 25 ottobre 1976 e Cesare Zavattini, scenografo, giornalista, intellettuale, dai microfoni di Voi e io punto a capo, un programma di attualità in onda su radio Rai, ruppe il tabù.
“E adesso dirò una parola che finora alla radio non ha mai detto nessuno”. Pausa di silenzio e poi ecco la parolina magica attraversare l’etere e scatenare lo scandalo “Cazzo!…”.
Che a pronunciarla fosse un esponente del neorealismo, in fondo ci poteva stare.
Sorprende invece che quella parola, secondo la notizia battuta dall’Adn-Kronos, sia uscita dalla bocca o dalla penna di uno dei parrucconi del Palazzaccio di piazza Cavour, sede della Cassazione, finendo trascinata nel massimario delle decisioni penali della Corte.
Che vorrà dire? Esprime il forte convincimento morale del redattore della decisione adottata, a mo’ di pugno sul tavolo?
Una volontà giovanilistica di adeguare il linguaggio, spesso grigio, dei nostri massimi giureconsulti a quello andante-triviale dei social?
Un messaggio di protesta contro il mondo moderno?
La rabbia di un magistrato juventino frustrato?
Lo sfogo di uno che si è rotto i coglioni?
Un moto liberatorio?
Ci è stato invece spiegato che il fatto può essere dipeso da un programma di dettatura vocale.
Peccato, ci eravamo illusi che in mezzo a questo conformismo bacchettone che sta avvolgendo il paese, ci fosse un uomo dello Stato capace di esprimere una protesta degna del peggior populismo da bar, quello che fa arricciare il naso a chi si è “messo a posto”, ai “migliori”, ai “competenti”, a quelli “col ditino alzato” – sì, è proprio il caso di dirlo – “di ‘stocazzo”.