Diventare migranti conviene- Penso seriamente – che piaccia o meno al popolo bue poco importa – che mi tingerò la pelle di nero come nei vecchi film anni ’50, prenderò un volo per la Tunisia per poi raggiungere la costa italiana.
A fronte di un investimento minimo, da lì, preso posto su una nave ONG, raggiungerò le coste italiane per realizzare il miglior investimento della mia esistenza.
Sbarco in Sicilia
Affronterò un viaggio “durissimo” – nemmeno il profilo di navi da guerra a renderlo quantomeno scomodo, come promesso e mai mantenuto da Giorgia Meloni versione preelettorale – per poi sbarcare a Lampedusa o qualsiasi altro porto o spiaggia ed essere finalmente accolto.
A conti fatti, fatto salvo quanto riportato da un quotidiano nazionale riguardo la spesa sostenuta dall’Italia per ogni migrante, al mio arrivo riceverò assistenza per 350 euro di kit d’ingresso – biancheria intima, beni di prima necessità, abiti e scarpe, alloggio e cibo, un pocket money di 2,50 euro al giorno, una ricarica telefonica da 5 euro – fino a raggiungere 945 euro mensili, che percepirò ad libitum.
In fondo, perché continuare a lavorare nove ore al giorno, cosa che faccio da trentadue anni e doverlo fare per almeno un altro decennio, confidando che poi mi sia concessa una misera pensione, affidando il mio sudato stipendio ad una banca che ogni mese preleva quanto necessario a rimborsare le rate del mutuo, pagare bollette salate, il carburante alle stelle, le tasse e le accise ad uno Stato che non mi tutela semplicemente perché sono italiano?
Divento un migrante
L’idea è semplice e, in questo Paese, nemmeno tanto utopistica: divento un migrante.
Mi basta attraversare il mare fu nostrum, dichiarare di essere fuggito dalla guerra da eroe che ha lasciato in patria madre, moglie, figli, di chiamarsi con un nome che suoni tipo “Vipiglie Peculo” per accedere automaticamente ai benefici che lo Stato italiano mi garantisce in quanto migrante bisognoso.
A quel punto rimango nel hotspot fino a quando, giustamente stufo di non poter fare quello che mi pare e dove mi pare, lascerò la struttura.
Una legge per noi… Una legge per loro
In qualunque città io vada, sono certo di non incorrere in impicci con la polizia, nessun uomo o donna in divisa mi darà mai noia, resteranno a guardarmi – sono un migrante bisognoso – spaccare vetrine o auto in sosta, spacciare droga, usare violenza, rapinare, violentare e persino girare armato di machete, perché la legittima difesa, oltre un’ipotetica quanto improbabile offesa, è un diritto inalienabile ed acquisito.
Il destino dell’italiano
Qui mi fermo per non elencare un fascicolo di vantaggi, agevolazioni e via discorrendo che farebbero rabbrividire chiunque, tranne il cittadino italiano autoctono, vero protagonista della breve e ilare parodia che non ha l’intento di divertire il lettore, ma di metterlo davanti al fatto compiuto: essere un cittadino italiano autoctono, è seriamente penalizzante.
De facto: se è consenziente, è un utile idiota da sfruttare, che deve votare e vivere una vita di quieta disperazione; se senziente, è un pericoloso terrorista, neofascista, razzista, disonesto, evasore, ect.
Questo è il bello di essere cittadino italiano dalla nascita o esserlo diventato, ma con il grave handicap di avere la pelle bianca.
All’orda di censori che si scatenerà dopo la lettura, soprattutto dopo l’ultimo capoverso, l’autore è pronto a rispondere a tono: la verità è questa che Orfanelli d’Italia o chicchessia e sostenitori ne prendano atto o meno.
Ah, potessimo almeno contare su militari – Gabon docet – in grado di dare un’adeguata risposta, seria e concreta, a quanto accade nella penisola italica fu italiana, avremmo almeno una speranza.
Che bello sognare una “Vivaldi” che suoni a dovere la stagione finale di un declino ignobile e vergognoso a cui nessun politico – nessuno – ha intenzione di porre fine.
Cristian Borghetti