Denatalità, DEF e riforma fiscale – Il tema, ormai ineludibile, della crisi demografica italiana, emerge chiaramente anche dall’ultimo Documento di Economia e Finanze (DEF), pubblicato del Ministero dell’Economia.
Sulla scorta dei dati ISTAT, il Ministero assume una popolazione italiana, anche al lordo dell’immigrazione, in diminuzione, con una quota di ultrasessantacinquenni di circa il 25% della popolazione italiana, prevista in crescita fino ad arrivare a circa il 33%.
Il buco delle pensioni
La spesa pensionistica e per assistenza sociale è arrivata a lambire i 460 €/mld, su una spesa totale di 1.083 €/mld (855€/mld di spesa primaria). Una spesa per assistenza sociale che pesa quindi per circa il 45% della spesa pubblica e per oltre la metà della spesa primaria.
La quota di PIL assorbita dalla spesa pensionistica si aggira ormai sul 20%, il tutto con entrate da contributi di appena 260 €/mld.
Entrate e uscite sbilanciate
Lo sbilancio tra entrate e uscite del nostro sistema pensionistico ammonta quindi a 200 €/mld secchi, buco che viene coperto con la fiscalità generale dello Stato, che destina quindi parte del gettito fiscale a coprire l’ammanco.
Non è un mistero che, con un tale scenario, i margini di manovra fiscale siano sempre più ridotti, come ridotta è la crescita della produttività del sistema (tipicamente, come facile da intuire, un paese senza giovani è un paese con una scarsa dinamica in termini di crescita e di produttività).
Investimenti con il PNRR
Similmente il DEF attesta una stagnazione per la spese in investimenti, delegati per circa il 50% agli interventi del NextGenerationEU (da noi declinato nel famigerato PNRR); strumento di cui più volte si sono sottolineate le criticità, in primis di natura schiettamente politica, dal momento che tali strumenti implicano la delega e la cessione silente di ulteriori quote di sovranità a favore della Commissione Europea e delle istituzioni UE chiamate a concedere i fondi, valutare, indirizzare e controllare i piani di investimento.
Il problema si interseca ovviamente con quello dell’immigrazione, il DEF, facendo proiezioni di sostenibilità sul debito pubblico, stima che una riduzione dei flussi migratori del 33% possa produrre un aumento nel tempo del rapporto debito/pil oltre la soglia del 200%.
La piaga della denatalità
Il tema della sostituzione etnica, bollato come “argomento complottista” o “teoria complottista di estrema destra”, e che tanto scalpore ha suscitato dopo le parole al riguardo del ministro Lollobrigida, è certificato nero su bianco sui documenti programmatici di finanza pubblica.
Invecchiamento e diminuzione della popolazione residente da una parte, necessità di mantenere sostenute quote di immigrazione dall’altra, quale condizione di sostenibilità del sistema economico nazionale.
Data la situazione, è imperativo agire il prima possibile e infatti, bisogna dargliene atto, almeno una certa consapevolezza circa la gravità del tema sembra essere presente nelle fila del presente governo.
Quello che è meno presente, sembra essere la capacità di formulare una proposta coerente ed efficace per rispondere al problema del calo demografico.
Il governo non ha idea di come fare
Se da una parte il già richiamato Lollobrigida solleva, giustamente, il tema, dall’altra lo stesso Lollobrigida, non troppo tempo fa, chiedeva 600.000 nuovi immigrati per l’agricoltura. La Meloni suggerisce invece di aumentare l’occupazione femminile, quale formula per sostituire la manodopera immigrata e sostenere i redditi femminili, laddove tuttavia è molto alto il rischio che un aumento dell’attività lavorativa femminile riduca ulteriormente la propensione delle donne a divenire madri di famiglia.
Misure insufficienti
Per quanto riguarda proposte più nel concreto, sembra comunque che il Governo stia pensando a qualche soluzione. Dalle parti della Lega sembra esserci la propensione a pensare a forme di sostegno al reddito (magari tramite sgravi fiscali) per le famiglie con figli, sembra che si stiano ipotizzando scenari su quali sarebbero gli impatti fiscali con misure di decontribuzione completa per chi ha almeno tre figli a carico e decontribuzione al 50% per chi ne ha due. Il ministro Giorgetti ha invece ipotizzato una detrazione di 10.000 euro per figlio.
Dalle parti di Fratelli d’Italia, pare invece che si propenda maggiormente ad immaginare soluzioni quali l’introduzione del quoziente familiare e simili.
In ogni caso, quello che si può osservare, è che senza dubbio eventuali provvedimenti a sostegno della natalità, per poter essere veramente d’impatto ed efficaci, dovrebbero essere sistemici e non ridursi e perdersi nell’ennesimo bonus o nella piccola prebenda estemporanea inserita dell’entropico sistema fiscale italiano, già ricchissimo di eccezioni, esclusioni, casi particolari e un variegato sistema di deduzioni e detrazioni di più tipo.
Il nodo IRPEF
Deduzioni e detrazioni IRPEF pesano per circa il 2% e si aggirano sui 40 €/mld, distribuite per lo più con effetto regressivo ovvero a beneficio di chi ha redditi di entità superiore.
Di fronte a tale situazione, una proposta di shock, volta a tagliare il nodo gordiano del problema, potrebbe prevedere la cancellazione in toto di tutte le deduzioni/detrazioni esistenti, al fine di redistribuire (a parità di gettito), gli importi alle madri sotto forma di sostegno al reddito (cumulativo con gli assegni familiari già vigenti) fino ai 18 anni del figlio a carico.
Un calcolo approssimativo sembra suggerire che si potrebbero trasferire 400 euro per ogni figlio, con tre figli si disporrebbe, quindi, di 1.200 euro netti (+200/300 euro da assegni familiari), che, sommati al reddito da lavoro del coniuge, si potrebbero immaginare come una forma di sostegno e incentivazione importante per le famiglie.
Insomma, il problema, per quanto possa strillare l’elvetica Schlein, in Italia esiste e per fortuna si incomincia (meglio tardi che mai) a prenderne atto; l’auspicio è che possa essere affrontato con azioni forti e marcate, senza risolversi nell’ennesimo bonus elettorale o operazione di mera facciata.
Filippo Deidda