Da partito segregazionista del Sud a rappresentante della borghesia liberal del nord e delle minoranze “discriminate”. La lunga metamorfosi che ha portato il partito di riferimento del fu Ku Klux Klan ad eleggere il primo presidente nero.
Il Partito Democratico degli Stati Uniti non è sempre stato quello che conosciamo, anche in virtù del fatto che si parla di un partito dalla lunghissima storia: fondato nel 1828 da Andrew Jackson, è il partito più antico del mondo tutt’ora in attività se si decide di considerare come due partiti distinti il Conservative Party inglese ed il partito Tory da cui deriva.
Fatto poco noto, il Partito Democratico condivide il medesimo “genitore” con quello che oggi è il Partito Repubblicano: si trattava del Partito Democratico-Repubblicano fondato da Thomas Jefferson nel 1792, di orientamento liberale, anticentralista e laico-populista , e si contrapponeva al Partito Federalista di orientamento centralista, conservatore e filo-britannico. Con la fuoriuscita del 1828 della corrente dei “nazional-repubblicani”, che fondarono un loro partito destinato poi a convergere nel più centrista Whig Party assieme a molti ex federalisti, i Democratici assunsero la loro attuale denominazione.
Di orientamento che oggi potremmo definire “sovranista”, il Partito Democratico di Andrew Jackson dell’inizio dell’Ottocento continuava a rappresentare gli interessi della popolazione agraria degli Stati Uniti, in particolare di quelli dei latifondisti degli stati del sud. I nazional-repubblicani di John Quincy Adams a loro volta diventarono il partito di riferimento delle borghesie industriali degli stati del nord. Per motivi tanto ideologici quanto elettorali, l’orientamento filo-agrario dei Democratici assunse, nelle grandi città degli stati del nord, connotati anticapitalisti e critici verso il liberalismo economico dei Nazional-repubblicani. Questa ala più marcatamente di sinistra (i cosiddetti Barnburners, “incendiari di fienili”) uscì poi dal Partito Democratico per fondare il Free-Soil Party nel 1848: la ragione principale di tale scissione fu la questione della schiavitù, tema sempre più dibattuto negli Stati Uniti, che vedeva contrapporsi le borghesie imprenditoriali del nord con i ricchi latifondisti del sud, dei quali i Democratici erano espressione. Il Free-Soil Party, assieme a molti abolizionisti e transfughi del defunto Partito Whig confluirono poi nel neonato Partito Repubblicano che oggi conosciamo, ma che allora tendeva a configurarsi come un partito marcatamente di sinistra. Le elezioni del 1856 furono le prime che videro contrapporsi un candidato democratico (James Buchanan, poi vincitore) ed uno repubblicano (John C. Frémont), a cui si contrapponeva il candidato dell’estrema destra protestante e “xenofoba” Millard Fillmore, del poco noto Know-Nothing Party. Il democratico Buchanan vinse in tutti gli stati del sud ma conquistò anche Illinois e Pennsylvania, mentre il candidato repubblicano vinse negli stati più a nord, tra i quali alcuni tradizionali bastioni della sinistra come New York, Vermont, Massachusetts, Minnesota e Rhode Island, mentre Fillmore trionfò solo nell’antica colonia dello stato del Maryland.
La guerra di secessione
Quattro anni dopo le contraddizioni interne al Partito Democratico vennero a galla, facendo emergere i dissidi tra i democratici della corrente “nordista”, che si opponevano all’estensione del sistema schiavista nel Far West, e quelli della corrente “sudista”, che invece erano favorevoli. Nessuna delle due componenti era, in ogni caso, abolizionista, e la causa della liberazione dei neri venne lasciata in mani esclusivamente repubblicane. Alla convention del Partito Democratico di Charleston, i delegati non riuscirono a trovare un accordo tra le diverse correnti ed i rappresentanti filo-schiavisti di Florida, Georgia, Mississippi, Alabama, Texas e South Carolina abbandonarono i lavori della convenzione indicendone una a Richmond, in Virginia, a cui si aggiunsero tre delegati filo-schiavisti dell’Arkansas ed uno del Delaware.
I democratici “nordisti” indissero quindi una nuova convenzione a Baltimora per cercare di appianare le divergenze con la maggioritaria componente sudista del partito. La posizione intransigente dei sudisti non permise tuttavia il raggiungimento di un accordo, e i delegati filo-schiavisti lasciarono definitivamente la convenzione spostandosi nella Maryland Institute Hall dove elessero come candidato John C. Breckinridge vice del presidente uscente Buchanan. Preso atto della scelta scissionista, ai democratici “nordisti” non restò che eleggere un candidato proprio, nomination che ricadde sul senatore dell’Illinois Stephen Douglas. A indebolire il fronte conservatore concorse anche la candidatura del senatore del Tennessee John Bell, candidato per la Constitutional Union, partito di destra conservatrice nato sulle ceneri del vecchio Know-Nothing di Fillmore.
Le elezioni presidenziali del 1860 videro quindi contrapporsi tre candidati conservatori ad un solo candidato progressista, il carismatico Abraham Lincoln per il Partito Repubblicano. La tornata elettorale del 1860 rappresentò un terremoto: anche se Lincoln ottenne la maggioranza assoluta dei grandi elettori, i candidati conservatori si imposero nel voto popolare ottenendo un milione di voti in più del vincitore repubblicano. Lincoln aveva vinto in tutti gli stati industriali del nord, conquistando 180 grandi elettori e ottenendo il 39,8% del voto popolare. Il secondo candidato per numero di grandi elettori fu il Democratico Sudista Breckinridge, che vinse in tutti gli stati schiavisti del sud oltre che in Maryland e Delaware, ottenendo 72 grandi elettori. Nonostante questo risultato il candidato dei democratici sudisti fu sconfitto nel voto popolare (18,1% contro 29,5%) dall’esponente nordista del partito Stephen Douglas, che però conquistò il solo stato del Missouri e tre delegati del New Jersey, ottenendo solo 12 grandi elettori. Il quarto candidato, John Bell, ottenne i grandi elettori di Virginia, Tennessee e Kentucky, tutti e tre stati schiavisti.
Un così marcato scarto tra voto popolare e grandi elettori, per giunta connesso al primo risultato elettorale che segnava il tramonto dell’egemonia degli stati del sud sugli Stati Uniti, portò all’esplosione del malcontento negli stati schiavisti, sette dei quali (South Carolina, Alabama, Mississippi, Florida, Georgia, Texas e Louisiana) dichiararono la secessione da Washington, a cui si aggiunsero più tardi Virginia, North Carolina, Tennessee ed Arkansas. Lo stato della Virginia si scisse, ed il West Virginia anti-schiavista si aggregò agli stati del nord. Gli stati dove erano più forti i democratici “nordisti” ed i costituzionalisti (Missouri, Kentucky, Delaware e Maryland), pur rimanendo schiavisti decisero di opporsi al tentativo di secessione, rimanendo fedeli all’Unione seppur dietro una parvenza di neutralità. Non indugeremo nella narrazione dei fatti della Guerra di Secessione, se non ricordando che i Democratici del nord, pur rimanendo fedeli all’Unione, mantennero comunque una visione marcatamente conservatrice, contrapponendosi con veemenza ai Repubblicani, nonostante la guerra condotta dai loro compagni di partito negli stati del sud.
Con la vittoria dell’Unione nel 1865, Lincoln pose sotto occupazione gli stati del sud, ponendoli sotto la giurisdizione di governatori repubblicani nominati dal nord, i cosiddetti “carpetbaggers” mentre il Partito Democratico tornò a riorganizzarsi; tuttavia, la guerra perduta, l’assassinio di Lincoln e la forte perdita di consensi nel nord del paese, oltre che il regime di occupazione che perdurava ancora in Virginia, Texas e Mississippi, tenne il Partito Democratico lontano dalla presidenza per diversi mandati presidenziali. Dopo otto anni di presidenza del repubblicano Ulysses S. Grant, le presidenziali del 1876 furono un ulteriore punto di svolta nella politica americana. Per la prima volta dopo oltre dieci anni dalla fine della guerra di secessione, un candidato democratico, filo-sudista e filo-schiavista, il governatore di New York Samuel J. Tilden, aveva concrete possibilità di vittoria: Ulysses Grant dopo due mandati non era comunque riuscito, nonostante la messa fuorilegge del Ku Klux Klan (formato in massima parte da democratici), nell’intento di sedare i contrasti razziali nel sud né in quello di pacificare i territori del West ancora sotto il controllo delle tribù indiane. In particolare, la cocente sconfitta di Little Big Horn, avvenuta in piena campagna elettorale, danneggiò in maniera consistente l’immagine dei Repubblicani, che si apprestavano a candidare alla presidenza il governatore dell’Ohio Rutherford Hayes.
Il compromesso del 1877
L’esito delle elezioni fu uno dei più contestati e divisivi della storia americana: Hayes vinse in numerosi stati progressisti del nord, ma strappò all’avversario anche i tradizionali bastioni sudisti di South Carolina, Florida e Louisiana, ma Tilden replicò a sua volta imponendosi in numerosi stati progressisti del nord quali Connecticut, Maryland, New Jersey e nel “pesante” stato di New York. Tilden inoltre superò di ben duecentomila voti lo sfidante repubblicano nel voto popolare. In Florida, Louisiana e South Carolina lo scarto fu talmente irrisorio che si dovette procedere a lunghi riconteggi, sui quali però pesò fin da subito l’ombra di forti sospetti per via del fatto che tali stati erano ancora sottoposti ai “carpetbaggers”, le cui battaglie antirazziste stavano però fallendo a causa dei boicottaggi e della resistenza passiva dei politici e dei cittadini del sud.
Entrambi i candidati rivendicarono la vittoria in questi tre stati e i Democratici minacciarono di condurre una campagna ostruzionistica durante il riconteggio dei voti. Se questa minaccia avesse preso corpo la presidenza sarebbe rimasta vacante, mentre voci interne al Partito Democratico lasciarono trapelare indiscrezioni su ben centomila militanti democratici armati pronti a marciare su Washington per imporre Tilden come presidente. Di fronte all’eventualità sempre più concreta di una nuova guerra civile i Repubblicani furono costretti a proporre ai Democratici un accordo informale denominato “Compromesso del 1877”, che prevedeva la rinuncia di essi ad imporre Tilden come presidente in cambio del ritiro dell’esercito unionista dagli ex territori confederati, il ripristino della piena sovranità dei governatori del sud ed il blocco immediato dell’emancipazione dei neri negli stati ex schiavisti. L’accordo, che trovò l’approvazione dei democratici, permise l’insediamento pacifico di Hayes alla Casa Bianca ma acuì le differenze sociali tra il Nord repubblicano, che proseguiva con l’emancipazione dei neri ed in generale con un’agenda politica liberale, ed il sud democratico che invece inaugurava la lunga stagione segregazionista delle cosiddette Leggi Jim Crow.
La stagione populista e la svolta a sinistra
Tuttavia, complice anche la vocazione agraria degli stati del sud, contrapposta a quella industriale e finanziaria degli stati nordisti, il Partito Democratico mantenne al suo interno una forte corrente egalitaria e populista, che si trovò sempre più spesso a proporre un’agenda economica più attenta al sociale, pur rimanendo conservatrice dal punto di vista dei valori. Esempio di questa transizione fu William Jennings Bryan, membro di spicco del Partito Democratico a cavallo tra Ottocento e Novecento. Bryan ottenne tre volte la nomination di candidato presidenziale ma fu sconfitto a tutte tre le elezioni, rispettivamente dai repubblicani McKinley e Taft. Pur non venendo mai eletto presidente, Bryan ebbe una pesante influenza ideologica sul Partito Democratico: nonostante fosse rimasto fortemente conservatore (era infatti fervente presbiteriano, proibizionista e creazionista), Bryan sostenne un’agenda economica al contempo liberoscambista e più vicina alle esigenze dei lavoratori, guadagnandosi addirittura il favore del piccolo partito socialista del Populist Party. Il fine di Bryan era quello di formare un’alleanza tra gli stati “poveri” del sud e le classi lavoratrici e operaie urbane del nord, per poi aprirsi ad un intenso commercio con l’estero in grado di rilanciare l’economia statunitense e redistribuire le risorse in programmi sociali.
Le idee politiche di Bryan lasciarono una profonda impronta sul partito democratico, che però emerse in tutta la sua forza solo con lo scoppio della grande crisi nel 1929, che travolse in pieno la presidenza del repubblicano Herbert Hoover. Vincitore con percentuali bulgare (472 grandi elettori contro soli 59 di Hoover) delle elezioni presidenziali del 1932, il democratico Franklin Delano Roosevelt, che aveva vinto in maniera schiacciante soprattutto negli stati segregazionisti del sud, avviò la politica del New Deal, tramite forti misure assistenzialistiche. Le misure ottennero una feroce opposizione da ampi settori conservatori del partito, che invece si rispecchiavano di più nelle ricette liberali del repubblicano Barry Goldwater. Durante il New Deal, Roosevelt cominciò ad allontanarsi progressivamente dalle posizioni di quei conservatori democratici che sul piano economico si stavano opponendo a lui. Ad aggravare la frattura con la destra del partito, ancora radicalmente conservatrice e segregazionista, contribuì poi lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, combattuta contro regimi esplicitamente razzisti. Questa progressiva virata a sinistra del Partito Democratico attirò lo sguardo dei Repubblicani che cominciarono a loro volta ad abbandonare le vecchie agende progressiste per spostarsi su posizioni sempre più conservatrici e neoliberali.
I Dixiecrats e la disaffezione del Sud
Con la campagna elettorale del 1948 le divisioni interne al Partito Democratico riemersero. Pietra della discordia furono le posizioni progressiste in tema di diritti civili del nuovo candidato democratico Harry S. Truman, favorevole alla fine della segregazione negli stati del sud. L’ala sudista del Partito Democratico, i cosiddetti Dixiecrats elesse così un proprio candidato, Strom Thurmond, il cui fine sarebbe stato quello di sottrarre grandi elettori a Truman, per favorire indirettamente la vittoria del candidato repubblicano Thomas Dewey.
Thurmond conquistò Mississippi, Alabama, Louisiana, South Carolina, ed un grande elettore del Tennessee, ma i 39 grandi elettori ottenuti furono insufficienti a sbarrare la strada della Casa Bianca a Truman, che aveva ottenuto ben 114 grandi elettori in più rispetto al debole candidato dei Repubblicani. Il successore di Roosevelt, abolì la segregazione nelle forze armate degli Stati Uniti, ma le leggi Jim Crow negli ex stati confederati non vennero minacciate, e tali territori continuarono ad essere stabilmente amministrati dai democratici. Tuttavia, anche se gli stati progressisti del nord avevano votato ancora in massima parte per i Repubblicani, il Partito Democratico aveva per la prima volta perso il cosiddetto Solid South. Il rischio di vedersi tagliati fuori tanto dal nord progressista quanto dal sud segregazionista indusse i Democratici a mantenere una sorta di immobilismo sul tema dei diritti civili che si protrarrà fino agli anni Sessanta, quando deflagrò la protesta dei movimenti per i diritti civili degli afroamericani. I Dixiecrats rimanevano comunque una forte componente del Partito Democratico, tanto che ancora nel 1963 fu il governatore democratico dell’Alabama Henry Wallace a tentare di opporsi fisicamente all’entrata dei primi due studenti neri all’università del suo stato. Lo stesso Wallace ammise poi più tardi di essersi spostato su posizioni apertamente razziste a causa della precedente opposizione nei suoi confronti tenuta dai membri del Ku Klux Klan (molto numerosi nel Partito Democratico), in quanto considerato troppo moderato. L’assassinio del presidente democratico John F. Kennedy, favorevole all’abolizione della segregazione, portò il suo candidato successore Lyndon B. Johnson a rompere gli indugi, svoltando definitivamente a sinistra. Johnson si propose come propugnatore di un’agenda assistenzialista e filo-migratoria, nonché di una maggior inclusività del sistema sanitario. La campagna elettorale del 1964 che lo vide contrapposto al repubblicano neoliberista Barry Goldwater segnò la fine del dominio democratico negli stati del sud, che premiarono invece il GOP. Johnson, che trionfò con percentuali bulgare sull’onda emotiva della morte violenta del suo predecessore, vinse in tutti gli stati dell’unione ad eccezione del vecchio zoccolo duro sudista (Mississippi, Alabama, Georgia, South Carolina) e dell’Arizona, conquistati invece dallo sfidante repubblicano. La svolta era compiuta. Durante la presidenza di Johnson, nonostante l’agenda liberal, l’amministrazione democratica mantenne una forte venatura anticomunista, con un’intensificazione esponenziale dell’impegno bellico in Vietnam, ma il voto delle frange più conservatrici era ormai perduto. Stanco e sfiduciato per i rovesci in Indocina, Johnson decise di non ricandidarsi alla presidenza. Alle elezioni del novembre del 1968, l’emorragia di voti conservatori dal Partito Democratico ebbe un ruolo fondamentale nella vittoria del repubblicano e conservatore Richard Nixon, ma i vecchi voti dei segregazionisti Dixiecrats non erano ancora maturi per transitare stabilmente nel GOP, così che il segregazionista indipendente George Wallace, ex governatore democratico dell’Alabama di cui sopra, candidatosi come terzo incomodo, conquistò tutti i grandi elettori di Mississippi, Alabama, Louisiana, Georgia ed Arkansas, oltre ad un grande elettore della North Carolina, per un totale di 46, con quasi dieci milioni di suffragi nel voto popolare. La tornata elettorale del ’68, che vide la vittoria di Nixon, fu il segno del grande rimescolamento del voto degli stati: i Repubblicani confermavano la vittoria in alcuni loro bastioni storici del nord quali Vermont, New Jersey ed Illinois, i democratici tuttavia, a titolo di esempio sul loro stato di ampia divisione interna, controllavano al contempo lo stato tradizionalmente più liberale, il Minnesota, e quello tradizionalmente più conservatore, il Texas. Da allora il processo di virata a sinistra non si è più arrestato, nonostante, sull’onda dello scandalo Watergate, gli stati del sud abbiano comunque votato democratico alle presidenziali del 1976 contro lo screditato repubblicano Gerald Ford.
Un partito di sinistra a tutti gli effetti
Lo spostamento dei Democratici nel campo del neoliberismo economico, iniziato negli anni Settanta ed accelerato vistosamente durante gli anni Ottanta e Novanta, ha reso per certi versi l’agenda economica democratica indistinguibile da quella repubblicana fatto, questo, che ha portato entrambi i partiti ad rimarcare le proprie differenze nell’ambito dei valori, con un Partito Democratico sempre più liberal ed aperto alle istanze delle minoranze ed un Partito Repubblicano sempre più conservatore e vicino alle posizioni delle potenti chiese evangeliche protestanti e della parte più conservatrice del clero cattolico statunitense. La differenza, divenuta acutissima con la fine del secondo mandato del repubblicano conservatore George W. Bush, cui è succeduto il nero liberal Barack Obama, è proseguita fino a divenire una spaccatura insanabile con la campagna elettorale del 2016 tra Donald Trump ed Hillary Clinton, ma con un candidato alla nomination democratica, Bernie Sanders, che sembra aver inaugurato una forte corrente laburista all’interno dei Dem destinata a durare a lungo, viste anche le emergenti disuguaglianze all’interno della società americana.
Marco Malaguti
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